I meccanismi alla base dell’esistenza degli organismi viventi (II parte)
Prosegue il contributo alla rubrica Extra di Mosè Rossi, associato dell'Istituto di bioscienze e biorisorse, ex direttore dell'Istituto di biochimica delle proteine del Cnr e Professore emerito di Enzimologia presso l'Università Federico II di Napoli. Il ricercatore arricchisce con altri dettagli la spiegazione della complessità della vita e della sua evoluzione sulla Terra e del ruolo svolto dai virus
A questo punto è importante introdurre il concetto di biodiversità, che indica le varietà di forme di vita esistenti sulla Terra, nonché il loro materiale genetico e gli ecosistemi in cui esse proliferano. La biodiversità indica quindi la variabilità tra tutti gli organismi viventi, del sottosuolo, dell’aria, degli ecosistemi acquatici e terrestri e dei complessi ambienti ecologici di cui sono parte. Per i biologi, la biodiversità è la diversità delle popolazioni di organismi e specie e le interrelazioni tra gli organismi, mentre per i genetisti è la diversità del corredo genetico. I genetisti e i biologi molecolari studiano meccanismi quali le mutazioni, gli scambi di geni e le dinamiche del Dna che sono responsabili dell’evoluzione. Le specie si organizzano per ottimizzare gli obbiettivi della riproduzione e le interazioni con le altre specie e l’habitat. La stima del numero della diversità delle specie globali è dell’ordine di circa 10 milioni.
I microrganismi rappresentano le più abbondanti e diverse forme di vita sulla terra e colonizzano una grande varietà di nicchie ambientali. È chiaramente emerso che quelli identificati e caratterizzati sono solo una piccolissima parte del totale. Essi si sono sviluppati e adattati ad ambienti completamente diversi per composizione chimica, per condizioni fisiche e in presenza di consorzi di organismi che interagiscono tra di loro. Si immagini di prendere campioni di terreno sotto il livello del mare: si troverà un ambiente diverso ogni metro, o addirittura meno, con microrganismi adattatisi a quelle condizioni. Più del 99% dei microrganismi non si riescono a coltivare in laboratorio e hanno comportamenti non usuali, come crescere in condizioni di energia molto bassa e molto lentamente, attraverso meccanismi ancora sconosciuti. È stato stimato che alcuni di essi presenti a grandi profondità sotto il livello del mare, si duplicano dopo 100-1.000 anni, rispetto a E. coli che ha un tempo di duplicazione di circa 20-30 minuti. Questi microrganismi non sopravvivono senza le complesse interazioni tra loro e il loro ambiente particolare, ed il lavoro di ricerca in questo campo tende a identificarli chiedendosi cosa sono, dove sono e che cosa fanno. Parallelamente al nostro Universo, in cui sembra esistere una “Materia oscura”, è emerso che gli ambienti della Terra sono anch’essi dominati da un’immensa e variabile “Materia oscura microbica”, fonte di un’incredibile biodiversità molto poco conosciuta. Fortunatamente, i progressi nelle tecnologie di sequenziamento del Dna e la metagenomica hanno aperto la possibilità di studiare anche i singoli componenti in ambienti complessi e in consorzi di organismi.
La costruzione di un albero filogenetico, che permette un confronto immediato delle distanze evolutive tra gli organismi che popolano il Pianeta, ha rivelato che tutti i viventi hanno un progenitore comune (Luca, Last Universal Common Ancestor) da cui sono partite tre linee evolutive distinte, gli Archaea, i procarioti e gli eucarioti. Il risultato sorprendente di questa analisi ha rivelato che organismi che vivono alle alte temperature, gli Archaea, si collocano alla base dell’albero, suggerendo che essi sono tra gli organismi più antichi da cui sono derivati tutti gli altri.
Per molto tempo, per una visione “antropocentrica” errata, si è ritenuto che in profondità sotto il suolo non poteva esistere alcuna forma di vita rispetto alla superficie terrestre dove invece abbonda. Negli ultimi anni, invece, geologi e microbiologi hanno collaborato per scoprire quale sia il reale limite del ritrovamento della vita nel profondo della Terra e, sorprendentemente, hanno scoperto microrganismi intrappolati per milioni di anni a oltre tre chilometri di profondità, come in Virginia, e a oltre un chilometro di profondità, come nella piattaforma colombiana. Questi microorganismi si nutrono di rocce, antica materia organica e acqua, probabilmente utilizzando, invece dell’ossigeno, ferro o manganese per ossidare il carbonio.
Gli Archaea proliferano in ambienti diversi, anche estremi, paragobabili a quelli esistenti sulla terra alle sue origini. Si ritrovano infatti nelle profondità degli abissi oceanici, anche in prossimità di forti emissioni di calore, nei sedimenti in profondità, nel petrolio, al caldo, nel ghiaccio, dovunque... Benché gli Archaea rassomiglino morfologicamente ai batteri, in termini di grandezza e organizzazione cellulare poiché non hanno un nucleo cellulare, essi sono sorprendentemente simili agli eucarioti a livello molecolare, ad esempio, per i meccanismi di replicazione del Dna e della sintesi delle proteine.
Col progredire delle conoscenze è emerso il ruolo centrale che gli Archaea hanno avuto e giocato nell'evoluzione della vita sulla terra: milioni di anni fa, i progenitori degli Archaea e delle specie batteriche, che vivevano negli stessi ambienti, entrarono in una relazione endosimbiotica generando nuovi tipi di cellule contenenti batteri incapsulati, poi evolutisi in mitocondri e cloroplasti, macchinari essenziali alle nuove cellule eucariotiche per produrre energia. Un’ulteriore interessante ipotesi avanzata è che il nucleo delle cellule eucariote si sia invece evoluto da organizzazioni che virus, per proteggere il loro genoma, avevano costruito all’interno delle cellule di Archaea. Senza gli Archaea, le cellule degli eucarioti non sarebbero mai apparse sulla scena per generare le forme più spettacolari della vita, quali i mammiferi, gli alberi, i pesci, gli uccelli e tutte le altre forme conosciute.
Mentre gli studi procedono e permettono altri approfondimenti e conclusioni, si rimane stupefatti non solo dalla incomprensibile complessità e storia della vita sulla Terra, ma anche dalla abilità e potenzialità della cellula eucariotica generatasi per endosimbiosi da una coppia di cellule.
È stato ipotizzato che la vita, nelle sue forme più semplici, abbia avuto origine in un “brodo primordiale” oltre quattro miliardi di anni fa e che si sia sviluppata ed evoluta in vari organismi per crescere e differenziarsi in dipendenza della composizione chimica, delle condizioni chimico fisiche dell’ambiente, delle interazioni tra i vari organismi e dello scambio di materiale genetico e della simbiosi.
Nel mese di maggio 2021 è apparso un articolo sulla rivista “Nature” dal titolo “Sui misteriosi microrganismi che hanno dato origine alla vita complessa”. Infatti, approfondendo gli studi sugli Archaea, si stanno ottenendo, in laboratorio, dati e indicazioni sui meccanismi dell’evoluzione del complesso cellulare che ha permesso di dar vita alle persone, le piante e tutto il resto del mondo biologico. Tali progressi sono stati conseguiti con un lavoro certosino di oltre 12 anni, tempo impiegato da un gruppo di ricerca per ottenere, e sviluppare in laboratorio, un complesso sistema biologico in cui avvengono i processi prima descritti.
Un ruolo importante hanno anche avuto i virus, in quanto coinvolti nel trasferimento di materiale genetico dagli ambienti esterni e all’interno dei consorzi in cui convivevano organismi di diversa natura. I virus sono parassiti di tutte le cellule viventi e non esistono organismi che non ne siano infettati. Essi sono una delle forme biologiche più abbondanti sulla Terra, anche se ne è nota una piccola percentuale di quelli esistenti: sono probabilmente comparsi come parassiti delle prime cellule, oltre 3 miliardi e mezzo di anni fa e, grazie alla capacità di mescolare i loro geni con quelli della cellula ospite, hanno contribuito all'evoluzione delle specie.
Un virus consiste in un certo numero di geni racchiuso in un involucro di proteine. Quando questo complesso entra in una cellula ne prende il controllo e la fa diventare una fabbrica di nuovi virus. La cellula può perdere le sue normali funzioni e per questa ragione alcuni virus causano malattie anche se non sono sempre dannosi. Nel nostro corpo sono presenti, stabilmente, milioni di virus, che non causano danno e, anzi, sono molto importanti per lo sviluppo delle nostre difese immunitarie e per mantenere l'equilibrio della nostra flora batterica.
Il Dna dell'uomo, infatti, è costituito circa per un terzo da geni provenienti da antichi virus. Uno di questi è il gene della sincitina, una proteina virale che 50 milioni di anni fa ha reso possibile lo sviluppo della placenta. Una cellula infetta ne può produrre molte migliaia, ragion per cui i virus accumulano rapidamente mutazioni (cioè cambiamenti nei loro geni) e possono evolvere rapidamente e diventare capaci di infettare ospiti diversi. Si ritiene che questo sia il meccanismo con cui i virus si sono introdotti nella specie umana provenendo da altri animali. Il virus del morbillo, per esempio, deriva da quello della peste bovina. Si è probabilmente adattato all'uomo in epoca preistorica, con i primi allevamenti di bovini domestici. (segue)