Decarbonizzazione per ridurre i costi
“Le fonti energetiche rinnovabili, come sole, acqua, vento e calore della Terra, non hanno un costo e non devono essere importate, riducendo la dipendenza dall’estero”. Ne è convinto Francesco Starace, Amministratore delegato e Direttore generale di Enel, che in questa articolata intervista esclusiva spiega come rivoluzionare la filiera energetica, per un futuro autonomo e sostenibile. “Il Pnrr è una possibilità storica, gli investimenti possono portare posti di lavoro e far salire il Pil”
Francesco Starace è dal 2014 Amministratore delegato e Direttore generale di Enel, dove è entrato nel 2000, ricoprendo varie posizioni manageriali, tra cui quella a capo di Enel Green Power, società del Gruppo dedicata alle fonti rinnovabili. Ingegnere nucleare, ha lavorato nella gestione della costruzione di impianti di generazione elettrica, consolidando la sua esperienza internazionale in Arabia Saudita, Egitto, Stati Uniti e Svizzera. Dal 2014 al 2017 è stato membro del Board per l’energia sostenibile delle Nazioni Unite, per le quali ha fatto parte del Cda del Global Compact. Ha svolto, tra molti altri, ruoli apicali presso la Commissione Europea, il World Economic Forum, il B20 italiano, tedesco e saudita e il G20 italiano. È co-Presidente del WEF “Net Zero Carbon Cities – Systemic Efficiency Initiative” e dell’European Clean Hydrogen Alliance’s roundtable on Renewable and low-carbon hydrogen production.
L’energia è “il” tema del momento. Schematizzando, e a prescindere dalla crisi russo-ucraina, la difficoltà è contemperare impegni di decarbonizzazione e impatto dei costi su imprese e famiglie: come ridurre il secondo?
Decarbonizzare e ridurre i costi dell’energia non sono esigenze in contraddizione. Al contrario, la prima rappresenta la migliore soluzione di lungo termine e strutturale per garantire la seconda. Quanto sta accadendo deriva infatti dall’aumento del prezzo del gas, che l’Italia importa per il 90% e che purtroppo ha un ruolo determinante nel mix energetico del Paese, circa il 50%. Il costo della materia prima è una variabile che non possiamo controllare. Aumentare la quota di rinnovabili ed elettrificare i consumi permette di utilizzare fonti energetiche come sole, acqua, vento e calore della terra, che per loro natura non hanno un costo e non devono essere importate, riducendo quindi la dipendenza dall’estero. Gli impianti da fonti rinnovabili costruiti dal 2009 ad oggi hanno consentito un contenimento dei prezzi dell’energia superiore al 10%, e se avessimo già oggi la quota di rinnovabili prevista al 2030 nel nostro mix produttivo, pari al 70% della produzione totale, i prezzi sarebbero più bassi di oltre il 35%. È questa la strada su cui dobbiamo puntare.
La filiera energetica poggia ancora molto su risorse naturali non rinnovabili. Quali i problemi ambientali ma anche geopolitici che ne derivano, e quali le possibili soluzioni?
Siamo di fronte a un’evidenza schiacciante: per l’Italia e per l’Europa, la dipendenza dalle importazioni di gas è un problema non più rinviabile, non solo a livello energetico ma anche geopolitico. L’Italia ha tre leve principali per agire da subito nella direzione di una maggiore sicurezza energetica. La prima, che permetterebbe di ridurre drasticamente la dipendenza da gas, è accelerare la conversione del parco di generazione verso le rinnovabili, soluzione strutturale che consente di ottenere benefici ambientali ed economici. È possibile agire poi sugli usi civili, sostituendo gradualmente le caldaie a gas con sistemi a pompe di calore, in cui la presenza industriale italiana è già forte. Infine, a fronte degli usi di gas industriali e civili residui, si dovrebbero realizzare almeno altri due rigassificatori di Gnl (gas naturale liquefatto). Questo permetterebbe di approvvigionarsi non solo via tubo, ma anche via nave, diversificando così le importazioni.
Le risorse per il comparto energia, automotive, etc. previste nel Pnrr sono sufficienti? Come garantire che siano un volano di sviluppo e non un costo trasferito sulle future generazioni?
Il Pnrr ci offre la possibilità storica di fare alcune cose fondamentali per il lungo termine, imboccando una crescita diversa. Come Enel abbiamo presentato iniziative che prevedono potenziali investimenti di 26 miliardi in due dei sei pilastri del piano industriale, che possono portare a circa 104.000 posti di lavoro e far salire il valore del Pil di circa 86 miliardi, circa tre volte e mezzo gli investimenti previsti. Per garantire che il Piano sia un volano di sviluppo, e quindi un’opportunità per le nuove generazioni, bisogna indirizzare i fondi su progetti in grado di trasformare la struttura industriale, andando a occupare spazi nuovi nella crescita energetica mondiale. Abbiamo l’opportunità di avviare filiere industriali resilienti, che rendano economicamente sostenibile, all’interno dei confini europei, la produzione di pannelli solari, batterie ed elettrolizzatori, attualmente importati principalmente dalla Cina. Enel ha realizzato, in collaborazione con The European House – Ambrosetti, lo studio “Just E-volution 2030” sugli impatti socio-economici della transizione energetica: secondo i diversi scenari, al 2030 il valore economico della produzione industriale potrà crescere a livello europeo da 113 a 145 miliardi di euro, mentre l’occupazione avrà un incremento fino a 1,4 milioni di nuovi posti di lavoro.
La divisione interna all’Ue sulla tassonomia rischia di incrinare l’unitarietà della politica energetica, e quindi economica, europea?
Nel mondo, l’Europa è il continente in cui il processo di decarbonizzazione è più avanzato. Tramite le misure introdotte negli scorsi due anni dal Green Deal e dal Pacchetto “Fit for 55”, l’UE ha assunto di fatto un ruolo di “first mover” nella transizione energetica, adottando un chiaro obiettivo di “zero emissioni nette” al 2050, insieme ad altri target a medio termine come il raggiungimento, entro il 2030, del 40% di rinnovabili nel mix energetico, oppure l’obbligo di vendita di nuovi veicoli a zero emissioni dal 2035. Il cammino dell’Ue verso la transizione energetica è già tracciato in modo chiaro, con un’ampia condivisione fra gli Stati membri sui traguardi di sostenibilità da raggiungere. È pur vero, che ad oggi gli stessi Stati membri presentano un mix energetico estremamente diversificato (come risultato delle differenti politiche condotte negli ultimi decenni); pertanto, appare naturale che vi siano allo stesso tempo delle divergenze su come raggiungere i target prefissati, soprattutto in merito al ruolo che gas e nucleare dovranno assumere nei prossimi anni. La soluzione a questo dilemma sta nella diffusione delle rinnovabili, tecnologia che mette d’accordo tutti gli Stati membri, oltre ad essere la fonte energetica più economicamente conveniente e a presentare un basso rischio anche dal punto di vista dei mercati finanziari (creando al contempo condizioni di investimento più favorevoli). Ciò lascia pensare che questa transizione avverrà comunque, in modo naturale, essendo vantaggiosa dal punto di vista della sostenibilità, della convenienza economica e del consenso generale. Inoltre, anche l’attuale scenario internazionale, teso da un punto di vista geopolitico e di mercato, ci ha dimostrato come seguire il percorso tracciato dal Green Deal possa garantire all’Europa l’indipendenza energetica, consentendo l’accesso per tutti a un’energia abbondante, sicura e a buon mercato.
C’è bisogno di una semplificazione normativa sull’energia, e di maggiore equità?
La presenza di iter autorizzativi e quadri regolatori differenti rende sicuramente più complesso portare avanti gli obiettivi di riduzione delle emissioni in alcuni Paesi rispetto ad altri. La direzione è chiara e condivisa, ma c’è bisogno di accelerare e la semplificazione è lo strumento per farlo. Se guardiamo all’Italia, è necessario che i processi di autorizzazione di nuovi impianti rinnovabili siano più efficaci ed efficienti. Ci sono segnali positivi, a partire dal Decreto Semplificazioni bis pubblicato lo scorso anno, ma è necessario un deciso cambio di passo, senza il quale non solo gli obiettivi di decarbonizzazione del Paese sono a rischio, ma viene anche bloccato un enorme potenziale di investimenti. L’associazione confindustriale Elettricità futura ha mostrato come realizzare circa 60 GW di capacità rinnovabile nei prossimi tre anni sia una possibilità alla portata del Paese, che ha in questo settore una leadership mondiale e un’imprenditorialità diffusa che già in passato ha dimostrato di poter realizzare balzi simili proprio in questo campo. Lo sblocco delle autorizzazioni può far partire investimenti di circa 80 miliardi, che non sono legati al Pnrr ma in aggiunta. È un obiettivo raggiungibile e conservativo: la cifra rappresenta solo una frazione della capacità oggetto di sviluppo da parte degli operatori del settore.
Solare e fotovoltaico sono davvero tecnologie in grado di fornire, e quando, un contributo sufficiente al nostro pacchetto energetico?
Siamo stati tra i primi, oltre dieci anni fa, a credere in un modello basato sulle rinnovabili, in un momento in cui gli scettici erano ancora la maggioranza. Oggi queste tecnologie sono mature e competitive, ponendosi quindi come strumento irrinunciabile per combattere il cambiamento climatico. Per far sì che il loro ruolo sia sempre più centrale dobbiamo decarbonizzare la produzione di energia attraverso lo sviluppo di nuova capacità da rinnovabili e sistemi di accumulo, rendere le nostre reti sempre più evolute e intelligenti ed elettrificare città, porti e attività, portando fino alle case dei consumatori la possibilità di azzerare le emissioni derivanti dalle azioni quotidiane.
Quando potrà accadere tutto questo?
Enel ha anticipato di 10 anni, dal 2050 al 2040, il proprio obiettivo “zero emissioni”. Le tecnologie e le risorse per raggiungere questo traguardo ci sono, ora serve che tutti gli attori coinvolti guardino nella stessa direzione per realizzare un modello pienamente sostenibile. È un percorso in cui vogliamo coinvolgere anche i nostri clienti, promuovendo la completa elettrificazione dei loro consumi mediante un'offerta integrata di energia e di servizi innovativi, e le città, affiancandole nel conseguimento dei loro obiettivi di decarbonizzazione e di sostenibilità, con soluzioni come l'elettrificazione del trasporto pubblico, illuminazione intelligente e altri servizi avanzati, secondo un approccio basato sull’economia circolare.
Ingegnere con una carriera di incarichi di top management nel settore, cosa pensa del ruolo e della reputazione di tecnici e ricercatori nel nostro Paese?
Ci sono importanti realtà nell’università, nelle istituzioni scolastiche e tra le aziende italiane che hanno contribuito e contribuiscono alla formazione di personale specializzato e ricercatori pronti ad operare in Italia e all’estero con risultati eccellenti. Donne e uomini che colgono ogni giorno le sfide che il futuro ci pone senza lasciare nessun indietro, formandosi in programmi all’avanguardia. Fra questi il primo dottorato nazionale su Sviluppo sostenibile e Cambiamenti climatici, esperienza piuttosto unica a livello mondiale che abbiamo contributo a lanciare con Fondazione Enel e più di 30 Università italiane. Necessario porsi in dialogo costante con il mondo dell’impresa per confrontarsi su opportunità importanti quali quella dell’elettrificazione, come avvenuto in occasione del progetto Mind the Gaps, condotto da Enel X con la collaborazione scientifica di Fondazione Enel, che ha interessato oltre 2.000 giovani universitari e liceali di tutto il nostro Paese con lo scopo di sensibilizzare sui benefici sociali, tecnologici ed economici che potrebbero derivare dalla transizione energetica e dall’elettrificazione, e ancora del progetto che abbiamo appena lanciato con Elis Energie per Crescere mirato all’inserimento professionale di oltre 5.000 giovani grazie a una formazione mirata alla gestione di reti elettriche sempre più smart e digitali. Non bisogna però scordare che la rivoluzione tecnologica che stiamo attraversando richiede conoscenze tecnico-scientifiche, a cui solo i percorsi cosiddetti Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics) possono rispondere. Purtroppo, però, la popolazione femminile si sta trovando esclusa da questa richiesta per vari motivi sia culturali che di pregiudizi. È per questo che Enel è impegnata attivamente nel sostenere iniziative che favoriscono l’orientamento professionale delle ragazze verso facoltà universitarie Stem.
Come si posiziona Enel nel panorama internazionale degli stakeholder di settore?
Enel è nata 60 anni fa con la missione di dare energia all’Italia, portandola in ogni angolo del Paese e garantendo così sviluppo e crescita sociale ed economica. Molte cose sono cambiate dal 1962, ma è a partire da queste basi che l’azienda si è evoluta nel tempo: anche oggi portiamo energia alle persone e alle comunità in tutti i Paesi in cui siamo presenti, accompagnando i nostri clienti verso nuovi usi dell’energia, innovando e ampliando i nostri servizi, pensati per creare valore condiviso. Se il decennio scorso è stato quello dello sviluppo delle rinnovabili, il decennio appena iniziato sarà quello dell’elettrificazione dei consumi, che vedrà le persone protagoniste attive del cambiamento. La transizione energetica e la sostenibilità sono al centro del nostro piano industriale: il 94% degli investimenti previsti per il triennio 2022-2024 sono in linea con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
Quanto conta per Enel la collaborazione con il mondo della ricerca, tra cui anche il Cnr?
Per costruire un futuro realmente a misura d’uomo non basta la visione delle imprese, bisogna che alla base delle strategie ci sia una solida conoscenza, basata su studi e analisi in grado di dirci quali saranno i risultati della nostra azione nel breve e nel lungo termine. La conoscenza è la chiave, e un errore che le imprese non devono commettere è pensare che il sapere necessario sia già al loro interno. Bisogna aprirsi al confronto e all’ascolto. Il mondo della ricerca può darci le soluzioni e le indicazioni di cui abbiamo bisogno.