Faccia a faccia

Raccontare, ma con 'stile'

maraini
di Silvia Mattoni

"La vicenda è importante, avere una storia da raccontare fondamentale. Ma se non si è riconoscibili e personali, anche i racconti più interessanti rimangono muti". A dirlo è Dacia Maraini, una delle nostre maggiori scrittrici

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Dacia Maraini inizia a scrivere da giovanissima. Una passione di famiglia. Dopo aver conosciuto la fame nel '43 nei campi di concentramento in Giappone (dove il padre etnologo stava studiando una popolazione in via di estinzione) e la crudeltà della mafia siciliana alla fine della guerra, da cui il libro 'Bagheria', a soli 21 anni fonda, insieme con altri giovani, la rivista 'Tempo di letteratura', e inizia a collaborare con 'Paragone', 'Nuovi Argomenti' e 'Il Mondo'. Tra le opere più note, 'Memorie di una ladra', da cui il film interpretato da Monica Vitti 'Teresa la ladra' e 'Storia di Piera' scritto in collaborazione con Piera Degli Esposti, poi tradotto in film con Marcello Mastroianni, Hanna Shygulla e Isabelle Huppert. Con 'La grande festa' la scrittrice rievoca le persone che hanno segnato la sua vita di donna e di artista: dall'amico Pier Paolo Pasolini al compagno Alberto Moravia, alla cantante Maria Callas. Vince molti premi, tra cui lo Strega nel 1990, con la raccolta di racconti 'Buio' e il premio Supercampiello per il libro 'La lunga vita di Marianna Ucrìa'. La sua fama è dovuta anche all'attività di critica, poetessa e drammaturga. Per il teatro scrive più di 60 testi rappresentati in Italia e all'estero, tra cui 'Manifesto dal carcere', 'Dialogo di una prostituta' e 'Viva l'Italia, originale rievocazione del Risorgimento e del brigantaggio di recente messa in scena da una giovane compagnia marchigiana per la regia di Antonio Lovascio. Nel suo ultimo libro, 'L'amore rubato', torna ad affrontare il tema della violenza attraverso otto storie attinte dalla vita quotidiana e dalla cronaca di donne maltrattate, stuprate, uccise. Un filone già affrontato con la raccolta di racconti 'Buio', ispirati a storie di sopraffazione e dolore, con protagonisti però i bambini.

Quanto hanno influito nella sua scrittura i viaggi giovanili con la sua famiglia e quanto, invece, la fantasia e la creatività?

È difficile dire quanto hanno contato le influenze giovanili sul proprio lavoro. Certo, nel mio caso tanto. Se non altro nell'indirizzare la fantasia e la creatività in una direzione piuttosto che in un'altra.

C'è ancora un posto che le piacerebbe visitare o esplorare?

Continuo a viaggiare moltissimo. L'occasione è sempre il lavoro, poi ne approfitto per guardarmi intorno. Per esempio, a luglio sono stata in Colombia, paese che non conoscevo affatto. L'occasione è stato un invito al Festival internazionale di poesia di Medellin, ma poi ho avuto modo di girare per il paese che mi è sembrato bello e intenso, nonostante i guai con cui si scontra in continuazione. 

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Ha mai pensato di dedicarsi alla ricerca, come suo padre?

Mio padre aveva un approccio scientifico con la realtà (Fosco Maraini era etnologo, antropologo e orientalista, n.d.r.). Era anche scrittore di grande talento, ma prima di tutto cercava di analizzare e catalogare il mondo, mentre io ho un approccio narrativo e quindi cerco di raccontarlo prima di darne una spiegazione scientifica. Sono due modalità diverse, anche se poi si possono raggiungere obiettivi simili.

A quale delle sue opere è più legata?

Sempre all'ultima, perché è quella che mi ha tenuto compagnia per tre anni, il minimo tempo che impiego per scrivere un romanzo, con i suoi personaggi, le sue atmosfere, le sue vicende.

Cosa consiglia ai giovani che intendono percorrere la sua strada?

Di cominciare dal basso, scrivendo racconti e pubblicandoli su riviste locali oppure in rete. Di non spedire il grande romanzo alla casa editrice importante per poi disperarsi quando si riceve una risposta vaga e senza impegno.

Quali caratteristiche dovrebbe avere un buon racconto o un romanzo?

L'elemento che conta di più è lo stile. La vicenda è importante, avere una storia da raccontare fondamentale. Ma se non ci si è costruiti uno stile riconoscibile e personale anche le narrazioni più interessanti rimangono mute: lo stile è il ponte di comunicazione col lettore.

Ultimamente ha pubblicato l'audiolibro 'La ragazza con la treccia'. Pensa che la tecnologia elettronica possa stimolare la lettura?

L'Italia ha scarsa pratica con gli audiolibri e va bene così. Non sono contro la tecnologia, ma penso sia più fragile e pericolosa del vecchio libro cartaceo. La tecnologia ha bisogno di un collegamento elettrico; senza energia le macchine non funzionano. E l'energia non sempre è disponibile se si è in viaggio, per esempio nei paesi africani. Inoltre, la tecnologia muta in continuazione e penalizza chi non ha i mezzi per stare al passo con le ultime novità. Penso che il tradizionale libro cartaceo, che dura da quando è stata inventata la stampa, continuerà a svolgere la sua funzione, magari in tono minore. Si tratta di trovare un equilibrio.

Ripensando agli anni '60 e ad artisti e scrittori come Fellini, Calvino, Moravia, Guttuso... non pensa che oggi vi sia una certa separazione tra il mondo della cultura e il pubblico?

Roma negli anni Sessanta era una città diversa: meno turistica, più umana, meno popolosa. Nei bar del centro andavano gli artisti e non i giapponesi con la macchina fotografica. Oggi la Capitale è una città globalizzata e non si torna indietro. Anche il mondo della cultura è cambiato, è diventato frammentario, separato, isolato: ognuno per sé. Mentre in quegli anni ci si incontrava e si chiacchierava per il piacere di stare insieme.

Come nasce l'idea di 'Viva L'Italia'?

Da una serie di riflessioni sugli errori che sono stati fatti nel costruire il nostro Paese. Dall'invasione del Sud quasi fosse una terra di nessuno, alle arroganze di casa Savoia e dell'esercito sabaudo di fronte a un Meridione poco conosciuto e disprezzato, dai compromessi con lo spirito repubblicano che aveva guidato i moti di liberazione, alla cacciata di Garibaldi nel momento cruciale dell'unificazione.

Ha mai pensato di scrivere qualcosa sulla storia della scienza?

No. La scienza mi interessa, ma in senso umanistico, per i legami che ha con le tecniche di sopravvivenza dell'essere umano.

Segue le notizie di carattere scientifico e le ultime novità tecnologiche? Quali in particolare?

Certo. E mi interessano molto anche le novità tecnologiche anche se, come ho detto, non sono una feticista della tecnologia. Non credo che da sola possa risolvere tutti i problemi del mondo: dietro ogni macchina ci deve sempre essere una persona, capace di attenzione, di responsabilità, di giudizio.

Con 'L'amore rubato', torna al tema della violenza. Cosa l'ha portata ad affrontare nuovamente questa tematica?

È un argomento che mi sta a cuore da sempre. Cerco di alternare: un racconto autobiografico intriso di riflessioni e di considerazioni come l'ultimo, 'La grande festa', e una narrazione in presa diretta sulla realtà come 'L'amore rubato'. Dopo avere sinceramente aperto il cuore sulla tavola anatomica, ho bisogno di tornare alla cronaca, ai fatti, al mondo esterno. Tutto qui. Ma i due interessi coesistono da sempre.

Silvia Mattoni

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