Se dai il massimo, vinci
Nella 'sala motori' del pacchetto di mischia della Nazionale italiana di rugby c'è lui, Marco Bortolami. Il 6 febbraio 2014 ha raggiunto il prestigioso traguardo delle 100 presenze in maglia azzurra, delle quali 38 da capitano, conquistando il terzo posto di sempre per numero di partite ufficiali giocate. La sua filosofia è semplice: dare il massimo, sempre
Marco Bortolami, padovano, classe 1980, è un giovanotto di 196 cm e 112 kg. Gioca a rugby da quando era bambino. Nella sala motori del pacchetto di mischia della Nazionale italiana c’è lui, a spingere con la sua formidabile energia. Bortolami è sceso in campo per l’Italia più di cento volte, 38 con la fascia di capitano. Ha esordito a 20 anni e ancora oggi è una presenza certa e 'ingombrante’, per gli avversari, della nostra formazione. Quando non è in maglia azzurra, milita nel campionato della Celtic League, guidando le Zebre di Parma. Ha indossato la fascia sia in Italia sia all’estero ed è uno dei pochi italiani ad aver vestito la divisa dei Barbarians, la selezione a invito dei migliori giocatori del mondo. Sulle sue vicende sportive ha scritto un libro, 'Vita da capitano'. Sposato e con un figlia, ha recentemente ripreso gli studi all'Università di Parma.
Come ha iniziato a giocare a rugby?
Ho cominciato a 10 anni: mio padre è stato un giocatore e andavo spesso con lui a vedere la squadra della mia città: è stato inevitabile per me appassionami.
Cosa avrebbe voluto fare se non si fosse dedicato allo sport?
L’ingegnere. Sono un grande fan della Formula 1 e il mio sogno era ed è diventare meccanico della Ferrari, ovviamente dopo la carriera sportiva. Sono iscritto a Ingegneria meccanica e mi sto impegnando per terminare gli studi, nonostante la pratica agonistica del rugby e il 'mestiere' di padre.
Dunque, diversamente da molti sportivi, lo studio le piace?
Si, devo dire che non ho mai fatto troppa fatica a raggiungere voti accettabili e mi sono diplomato al liceo scientifico con 92/100. Nonostante abbia una naturale propensione per le materie scientifiche, ho dedicato sempre attenzione anche a materie come la storia e la filosofia, che hanno attirato i miei interessi anche dopo il liceo.
La appassionano anche scienza e tecnologia, pertanto?
Mi interesso molto alle nuove scoperte, leggo riviste specializzate, guardo documentari in tv. Come dicevo, spero, una volta terminata la mia carriera sportiva, di riuscire a lavorare in questi settori.
Come riesce a rendere compatibili studio, famiglia e allenamenti?
Lunedì, martedi e giovedì sono i giorni sportivamente più intensi, con training specifici in palestra, di tecnica di reparto sul campo e un allenamento di squadra in cui si provano gli schemi di gioco. Tre sessioni al giorno di massimo un’ora ciascuna. Il venerdì piccolo allenamento di rifinitura e di schemi di reparto, sabato la partita; domenica e mercoledì sono i due giorni dedicati al riposo e al recupero psicofisico.
Un carico di lavoro duro. Com’è la sua dieta?
L’introito giornaliero è di circa 5.000 calorie, anche se in periodi di particolare carico atletico può essere superato. Dovendo mangiare molto per recuperare le energie perse, è importante la qualità dei cibi che si scelgono. Io cerco di privilegiare frutta, verdura, cereali integrali, proteine del pesce, uova e molta acqua naturale: un minimo di cinque litri al giorno; evito quasi del tutto latticini e zuccheri.
Una dieta sana, come l'immagine del rugby. In cosa è diverso dagli altri sport?
È una disciplina molto fisica, dura, ma dove il rispetto delle regole è fondamentale. Anche il selfcontrol è importantissimo per non commettere falli. Inoltre, il rispetto per le decisioni arbitrali non esaspera mai la situazione in maniera negativa.
Fair play insomma...
Rispetto delle regole e del proprio avversario. Giocare al proprio meglio, in maniera anche molto decisa, ma mai in modo scorretto o sleale. Cercare di dare il massimo, sapendo che la vittoria più grande è arrivare a esprimere pienamente le proprie potenzialità. La correttezza e il fair play che si vedono in campo sono replicati sugli spalti.
In questo si inserisce anche il 'terzo tempo'?
È il momento in cui le due squadre si siedono allo stesso tavolo per la cena post gara, spogliandosi dei propri ruoli e colori, scambiandosi impressioni ed esperienze da persone 'normali'. Questo permette di sentirsi tutti allo stesso livello, di conoscersi al di là della propria estrazione o provenienza culturale. Un momento di condivisione pura e semplice.
Il rugby è quindi consigliabile ai giovani?
È uno sport per tutti, si può giocare dai 5-6 anni fino a oltre 40 in maniera agonistica e senza limiti in maniera amatoriale. È adatto a quanti, giovani e adulti, vogliano confrontarsi e trovare la propria dimensione all’interno di un gruppo. Molti concetti tecnici del rugby – sostegno, passaggio e placcaggio, per citarne alcuni – sono stati studiati e inventati per farne una disciplina pedagogica, per insegnare attraverso lo sport. Ecco perché il rugby è praticato in tutte le scuole inglesi. Gli allenatori non sono solo tali, ma educatori, con scopi che vanno oltre l’insegnamento della mera tecnica sportiva.
Cos’è il Marco Bortolami Summer Rugby Camp?
Un’opportunità che i giovani hanno di condividere con me e altri giocatori della Nazionale bei momenti di vacanza immersi nello sport. Due settimane all’insegna del rugby e di molte altre discipline, un periodo ricco anche di occasioni di riflessione e crescita. Credo che l’esempio sia la lezione più importante per ogni giovane e dare loro la possibilità di vivere qualche giorno a fianco di giocatori che vedono solo in tv è un’opportunità fantastica. Siamo alla seconda edizione.
Il momento più bello della sua carriera?
Sicuramente la mia prima partita da capitano, all’età di 21 anni, in Nuova Zelanda contro gli All Blacks. Quel giorno divenni il più giovane capitano della storia e marcai anche la mia prima meta in nazionale, dove ho collezionato oltre 100 presenze... Un sogno che diventava realtà!
A proposito di sogni...uno per il futuro?
Partecipare alla mia quarta Coppa del mondo in Inghilterra, tra un anno e mezzo. Poi, una volta che la mia carriera di giocatore sarà terminata, mi piacerebbe trasmettere quello che ho imparato ad altri colleghi, senza però trascurare la passione per i motori. Insomma, una volta terminato il mio corso di ingegneria meccanica, chissà…
Claudio Barchesi