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Burocrazia male della modernità?

di M. F.
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Leggendo il libro 'Burocrazia' dell'antropologo David Graeber viene da sorridere e da immaginare cosa l'autore, già docente a Yale e ora alla London School of Economics, avrebbe potuto scrivere se si fosse occupato della realtà italiana. Il libro ci consente comunque di consolarci magramente, per esempio leggendo di una del tutto inutile conversazione con quattro persone diverse e di “diverse ore al telefono con la Bank of America, per cercare di capire come accedere dall'estero ai dati del mio conto”, e di concludere che certe aberrazioni non sono una prerogativa italiana.

Il saggio effettua però un'analisi più ideologica che fenomenologica, a partire da una considerazione sull'emarginazione di questo tema dal dibattito pubblico di cui, un tempo, era stato protagonista. In effetti, anche alla luce della nostra esperienza, possiamo confermare che inchieste e polemiche si appuntano molto più sugli aspetti di correttezza e legalità dei comportamenti della pubblica amministrazione che sulla loro efficienza ed efficacia, intese come proficuo rapporto tra strumenti adottati e risultati ottenuti. “Una spiegazione ovvia è che, banalmente, ci abbiamo fatto l'abitudine”, dice Graeber. Ci siamo, cioè, rassegnati “a riempire moduli”.

Secondo Graeber, essendo i regimi più burocratizzati di impostazione statalista, è “la destra, e non la sinistra, a fare da valvola di sfogo dell'indignazione popolare” (quella che noi forse definiremmo populista) a partire dalla posizione liberale di pensatori come Ludwig von Mises o di politici quali Ronald Reagan, fautrice della deregulation, dell'individualismo e dell'iniziativa privata, secondo cui “in sostanza, la burocrazia sarebbe un difetto intrinseco del progetto democratico”. L'errore di tale approccio, obietta l'autore, è che anche “i mercati non nascono come baluardi autonomi della libertà” ma sono anzi “un effetto collaterale dell'attività dello Stato – soprattutto delle operazioni militari – oppure una diretta emanazione del governo”. Una considerazione che per gli americani è chiara soprattutto in riferimento all'influenza dell'apparato militare nello sviluppo economico-industriale, mentre in Europa è probabilmente più evidente se si riflette sul ruolo dell'intervento politico pubblico nell'animare l'imprenditoria.

Burocrate non è quindi un semplice sinonimo di “impiegato statale”, proprio perché i confini tra pubblico e privato sono sfumati, e chiedere che le istituzioni di governo siano gestite come un'azienda è un'illusione. Graeber avverte, al contrario, che qualsiasi riforma “volta a ridurre la burocrazia e a favorire le forze di mercato” avrà l'effetto di incrementare la prima mediante l'aumento delle norme che regolano l'attività privata e quindi “c'e soltanto un'alternativa alla burocrazia”: “la burocrazia buona, onesta”.

Il libro ambisce esplicitamente a indicare “alcune possibili direzioni” a “una critica di sinistra” della burocratizzazione – richiamando, non sempre benevolmente, autori come Max Weber, Michel Foucault e i marxisti tedeschi: Adorno, Benjamin, Marcuse, Lukács, Fromm - esortando a una battaglia sicuramente condivisibile per rendere più concreti i diritti potenziali, necessità di cui ci rendiamo ben conto quando abbiamo estremo e urgente bisogno di assistenza socio-sanitaria e l'iter per seguire “i gesti rituali che hanno un'efficacia sociale” ci precipita direttamente dentro un romanzo di Franz Kafka. Assai meno condivisibile appare però la polemica dell'autore contro l'obbligo di titolazione e la formazione professionale, oppure il semplicismo con cui egli riconduce alcune pericolose derive della globalizzazione - dalla delocalizzazione delle aziende, alle frodi operate dai grandi potentati finanziari – non a perversioni di “un processo naturale e pacifico di sviluppo degli scambi commerciali reso possibile dalle nuove tecnologie” ma a elementi finalizzati alla “realizzazione del primo sistema amministrativo-burocratico su scala planetaria”.

Graeber assume insomma una visione anti-mondialista e anti-modernista in cui gli americani, in particolare, vengono accusati di avere incentivato la creazione di strutture internazionali come l'Onu, il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale e il Gatt, poi diventato Wto. Non meraviglia quindi che il libro sia sostanzialmente pessimista: per varie ragioni, alcune per l'appunto ideologiche, altre più motivate sul piano storico. Per esempio il collegamento tra situazioni connotate dalla violenza (in senso lato, incluse quindi le diffuse forme di ineguaglianza sociale) e la “tipica, ostinata ottusità che di solito associamo alle procedure burocratiche” è senz'altro corretto. Ce lo aveva già spiegato Annah Arendt con 'La banalità del male'.

 

titolo: Burocrazia
categoria: Saggi
autore/i: Graeber David 
editore: Il Saggiatore
pagine: 217
prezzo: € 21.00

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