Recensioni

Lomborg, il “riduzionista” climatico

Copertina del libro Falso allarme
di M. F.

In “Falso allarme” (Fazi), l’autore ribadisce il messaggio ottimistico lanciato quando divenne noto come “ambientalista scettico”. Le critiche sulla comunicazione catatrofista, in parte condivisibili, sono però accompagnate da analisi non sempre precise e proposte a tratti semplificatorie

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Biørn Lomborg è probabilmente il più noto “ambientalista scettico”, per usare l’autodefinizione che fece da titolo a una pubblicazione che, come ricorda l’autore, provocò un’accesa “reazione politica”. E che conteneva considerazioni analoghe a quelle che, a distanza di un ventennio, ritroviamo ora in “Falso allarme” (Fazi). In estrema sintesi, secondo Lomborg: “Viviamo in un’epoca di paura, in particolare di paura per il cambiamento climatico”, questo è il messaggio che libri e media “stanno inculcando” con una retorica che “si è fatta sempre più estrema e meno ancorata alla scienza”, man mano che abbiamo “incrementato le conoscenze” al riguardo. Il risultato è che “quasi la metà della popolazione è convinta dell’estinzione dell’uomo”, persino “i bambini sono spaventati” e su tale base “stiamo dilapidando migliaia di miliardi”. Tale allarmismo, “malgrado le buone intenzioni”, non solo è di fatto sbagliato ma è anche moralmente riprovevole”: in realtà, infatti, “possiamo risolvere il problema”.

L’autore rifiuta decisamente l’etichetta negazionista, anzi chiarisce: “Il cambiamento climatico è reale, è causato prevalentemente dalle emissioni di carbonio prodotte dagli esseri umani, che bruciano i combustibili fossili”. Lomborg appare semmai un “riduzionista”, nel senso che rispetto al rapporto delle Nazioni unite per cui “c’è tempo solo fino al 2030”, avverte: “Questa scadenza è stata fissata dai politici che hanno posto agli scienziati una domanda molto specifica e ipotetica: in pratica, che cosa servirebbe per mantenere il cambiamento climatico al di sotto di un obiettivo pressoché impossibile da raggiungere”.

Sul piano della comunicazione, l’autore non ha torto quando identifica un punto critico: “Se si usano discorsi estremisti non accuratamente supportati dalla scienza, si corre il rischio di creare un distacco da parte dell’opinione pubblica”, meglio pertanto evitare una narrativa secondo cui “quasi tutti i problemi sono stati classificati come frutto del clima”. In questo modo si induce un consenso più astratto che pratico, condiviso più nei Paesi ricchi che in quelli in via di sviluppo e per il quale “la maggioranza non è però disposta a spendere” gli oneri diretti e indiretti richiesti, tanto che tra le priorità su cui investire e fare sacrifici si prediligono istruzione, salute e alimentazione. Meglio allora un approccio con “provvedimenti meno grandiosi ma più efficaci perché l’elettorato non vi si rivolterà contro”.

Nel momento in cui articola la propria alternativa, però, Lomborg usa suggerimenti sommari, “dobbiamo smettere di esagerare […] fare tutti un respiro profondo dobbiamo darci una calmata”, e invita ad attivare “circoli virtuosi” ottimistici: chi “ritiene che il mondo sta peggiorando, è pessimista riguardo al futuro” non considera che “oggi la vita sulla Terra versa in condizioni migliori di quanto non lo sia mai stata” e che “il pianeta sta diventando più sano”, come provano l’aspettativa di vita in crescita, il livello di ricchezza e progresso.

Il sillogismo è però attaccabile: se oggi “preserviamo sempre più le foreste” e “abbiamo ridotto in modo sostanziale l’inquinamento dell’aria” è per una sensibilizzazione ottenuta anche mediante l’allarme climatico. E non è banale valutare se “l’impatto negativo sul mondo” del cambiamento climatico “non sarà nulla rispetto a tutti i miglioramenti positivi”, come Lomborg sostiene, adducendo esperti delle stesse Nazioni unite secondo cui “gli effetti del cambiamento climatico saranno minori rispetto all’impatto di altri fattori”. Per contrastare l’allarmismo controproducente, la semplificazione non è convincente.

Le misure di cautela e prevenzione appaiono del resto sempre eccessive, poiché contrastano un problema presunto e l’esempio dei limiti di velocità citato nel saggio è calzante, ma il “benaltrismo” per cui l’autore ricorda che negli Stati Uniti 40 mila persone ogni anno perdono la vita in incidenti stradali è esercizio comparativo sterile, come tante inutili e macabre graduatorie che circolano sui media. Se si vuole davvero una mediazione basata sul rapporto costi-benefici, inoltre, non conviene affidarsi a generiche stime globali, che non risultano più convincenti di quelle che si vorrebbero confutare. Lomborg cita invece cifre che rischiano di perdere di senso proprio per le loro dimensioni colossali: “Ogni anno a livello globale per il cambiamento climatico vengono spesi oltre 400 miliardi di dollari” e l’accordo di Parigi del 2015 potrebbe comportare costi dai mille a “decine di migliaia di miliardi di dollari all'anno”, un range troppo esteso e vago.

“Si raggiungerà solamente l’un percento di quanto promesso dai politici (ossia mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5°C)? Per affrontare il riscaldamento globale esistono “modi più intelligenti”? Un dibattito migliorativo è auspicabile, nella consapevolezza che esiste un mainstream, certamente mediatico ma soprattutto scientifico, verso il quale non sono sufficienti alcune frontiere scientifiche come “fare ricerca nella fusione, nella fissione”, le “alghe coltivate sulla superficie dell’oceano”. Siamo presi “dall'agire subito” e “trascuriamo di concentrarci sulle svolte tecnologiche a lungo termine”? Possibile, ma sembra difficile che possa bastare “dare libero sfogo all’innovazione”.

Titolo: Falso allarme
Categoria: Saggi
Autore: Biørn Lomborg
Editore: Fazi Editore
Pagine: 281
Prezzo: 20,00

 

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