Recensioni

Emergenza e discriminazione, totem e tabu

Copertina del libro La tirannia dell'emergenza
di M. F.

L’editore marchigiano LiberiLibri conferma la sua vocazione brillantemente provocatoria con le recenti uscite di Andrea Venanzoni e Walter Block. Che colgono alcune effettive contraddizioni del nostro normativismo, con argomentazioni però non sempre condivisibili, specialmente nel secondo caso

Pubblicato il

L’editore marchigiano LiberiLibri conferma la sua vocazione brillantemente provocatoria con le recenti uscite di Andrea Venanzoni, “La tirannia dell’emergenza”, e Walter Block, “Le ragioni della discriminazione”, mediante cui affronta due termini che potremmo definire rispettivamente un totem e un tabu. “Le emergenze sono sempre state il pretesto per erodere le garanzie della libertà”, esordisce Venanzoni citando F.A. von Hayek e una serie di autori della crisi, della morte e del nulla che hanno segnato il nostro “Occidente turbolento”: da Freud a Heidegger, da Junger a Stefan George, da Schmitt a Ortega y Gasset, fino a Nietzsche, Valéry, Canetti. Mediante una profezia auto-avverante, una narrativa inesausta della fine, la morte “è stata trasformata nella più radicale e potente tra tutte le emergenze”, in una categoria non naturale ma storica, concettuale e politologica. Un modello cui hanno dato sostegno eventi come la pandemia da Covid-19 e racconti come la “Peste” camusiana: con il risultato, sostiene l’autore, di “alterare irrimediabilmente la concezione e la percezione che abbiamo della libertà”.

copertina del libro

La contraddizione concettuale e culturale, secondo Venanzoni, è che “l’emergenza non può mai del tutto essere catalogata, spiegata e giuridificata: per quanto se ne vogliano proporre una tassonomia e una qualche catalogazione […] si presenta sempre diversa a se stessa, con la nuda squassante forza del fatto”. Solo la nostra ansia di catalogare, comprendere, cercare di risolvere crea le presunte continuità: “Il terrorismo suicida di matrice religiosa non è il terrorismo politico degli anni Settanta o Ottanta, il Covid-19 non equivale all’AIDS”. Ma soprattutto, avverte il saggio, questi paradigmi impongono “una scelta senza vie mediane: o la sopravvivenza a qualunque costo e a qualunque prezzo oppure la morte”. E questa enfasi diviene: “Un’omeopatia che cura la paura della morte uccidendo qualunque fattore di crisi dell’ordine costituito, a partire dalla libertà”.

E poi ci sono “le nuove emergenze. Droga. Terrorismo politico. Inquinamento e cambiamento climatico. Sicurezza urbana. Immigrazione. Malattie e pandemie. Emergenze reali ed emergenze solo percepite o fatte percepire”. E, ancora, le Torri gemelle e gli incidenti nucleari: “Il diritto che si confronta con il terrore e con la morte è per eccellenza diritto della paura”, sostiene il saggio: “Il pianto rituale è divenuto proclama mobilitante, spettacolo televisivo”.

Affermazioni provocatorie, soprattutto quando si addita un disegno teso al “consolidamento dell’esistente”, al “contagio della paura”, accusando lo Stato di essersi “impadronito dei morti” in nome “di un lutto scientificizzato e imbrogliato nei legacci della burocrazia di Stato”. Complici le “narrazioni compiacenti di una stampa ormai schieratasi a favore del potere”. Si evocano così spettri quali la nazionalizzazione delle masse di Geoge L. Mosse, le teorie di Georges Sorel e la psicologia delle folle di Gustave Le Bon per condannare le “derive più psicotiche del politicamente corretto”. Non tutte le considerazioni paiono ugualmente convincenti e condivisibili, ancorché alcune lo siano. È per esempio innegabile che: “La malattia occupa l’orizzonte narrativo, pervade la socialità, l’economia, il parlare quotidiano”. E che: “Una robusta opinione pubblica deve alimentarsi anche di un forte dissenso al suo interno. Le opinioni astruse o pericolose devono essere confutare sul campo delle opinioni, non del diritto penale e della potestà punitiva”.

Analoghe, articolate valutazioni si possono spendere per “Le ragioni della discriminazione” di Walter Block, saggio che ha l’indubbio e significativo merito di individuare un’altra delle grandi contraddizioni delle contemporanee democrazie, che l’autore dichiaratamente osserva “dal punto di vista politico-economico del libertarismo”. In sintesi: “La discriminazione viene difesa qui nel senso molto limitato che chi la commette non dovrebbe essere incarcerato, multato o comunque ostacolato in altro modo dalle autorità governative. Chi scrive, tuttavia, trova tale comportamento odioso e moralmente ripugnante”.

La distinzione tra valore e norma, però, viene sostenuta con esempi e argomentazioni talvolta deboli: il Principio di non aggressione, la libera associazione e le forze di mercato non paiono in grado, come sostiene Block, di sanare taumaturgicamente sperequazioni e conflitti. E se taluni strumenti quali quote, leggi antidiscriminazione e “diritti umani” talvolta si limitano ad affermare principi non correlati all’analisi realistica, lo si è visto di recente nelle università statunitensi, non è però credibile la tesi opposta: “Se al mercato fosse stato consentito di operare liberamente” gli effetti perniciosi delle iniquità sociali sarebbero “resi inefficaci nel breve tempo”. Si tratta anzi di una “reductio ad absurdum”, non meno di quanto lo siano alcuni stereotipi dei “sostenitori della Diversità, dell’equità e dell’inclusione”.

Disparità di genere, persecuzioni per ragioni legate alle tendenze sessuali o al colore della pelle sono un male antico, grave, orribile, che ha prodotto milioni di vittime e che non si risolve con sillogismi superficialmente basati sulla maggiore “abilità dei neri per l’atletismo” e degli “ebrei per la finanza e la medicina”. “La legislazione sui diritti umani viene applicata in modo distorto”? Possibile, in alcuni casi. “Nero è bello è un rispettato grido di protesta […] Bianco è bello verrebbe liquidato sommariamente come razzista”? Vero, ma ci sono ragioni storiche enormi se è così. “Nel 1776 Adam Smith scrisse La ricchezza delle nazioni” elogiando l’egoismo come motore delle più vantaggiose interazioni sociali, ma ciò non basta a rendere tale sentimento, così come l’odio o la diffidenza per il prossimo, un valore “trattabile”.

“Occorre fare una netta distinzione” tra la “discriminazione privata” e il “Ku Klux Klan”, ammette il saggio, come ovvio. Ma occorre anche stare all’erta ben prima che si passi a linciaggi e roghi di croci.

Titolo: La tirannia dell’emergenza
Categoria: Saggi
Autore: Walter Block
Editore: liberilibri
Pagine: 138
Prezzo: 16,00

Titolo: Le ragioni della discriminazione
Categoria: Saggi
Autore: Andrea Venanzoni
Editore: liberilibri
Pagine: 204
Prezzo: 18,00

Tematiche