L’intuito ingannatore
I cinque sensi e il buon senso forniscono al nostro cervello percezioni errate, diverse dalla corretta conoscenza della realtà, che giunge solo dal metodo scientifico. Un effetto della curiosità che a un certo punto della nostra evoluzione ha contraddistinto la specie di “scimmie quasi glabre” cui apparteniamo, come spiegano nel volume “Guida definitiva a (quasi) tutto” (Bollati Boringhieri) Hannah Fry e Adam Rutherford
I cinque sensi, e dunque il buon senso, forniscono percezioni errate, poiché obbediscono a funzioni nate quando servivano a orientarci e proteggerci in un mondo molto diverso. La corretta conoscenza della realtà giunge solo dal metodo scientifico, invenzione realizzata grazie alla curiosità che contraddistingue la specie cui apparteniamo. Hannah Fry e Adam Rutherford in “Guida definitiva a (quasi) tutto” (Bollati Boringhieri) si addentrano in questa interessante e complessa tematica, che interseca la nostra evoluzione e il funzionamento del nostro cervello.
L’odore, per esempio, contraddistingue in modo misterioso alcuni malati di Parkinson: l’abbiamo scoperto di recente e non sappiamo ancora perché. Da bambini piccoli invece ci sorprendiamo se un oggetto riappare dopo un istante in cui ci è stato nascosto, questa cosa banalissima ci sembra strana: è una tappa fondamentale dello sviluppo nota come “permanenza dell’oggetto”, la medesima per la quale certi uccelli possono essere calmati coprendo la loro gabbia.
Contraddizioni e misteri connotano il funzionamento del nostro apparato sensoriale da quando, più o meno centomila anni fa, noi “scimmie quasi glabre” abbiamo “cominciato a incuriosirci praticamente di tutto”, in corrispondenza della trasformazione per cui il nostro cervello è diventato più grande. La forma della Terra appare piatta, sembra proprio che sia il Sole a ruotarci intorno… “I nostri sensi ci ingannano in continuazione. I movimenti rapidi e inattesi ci fanno sobbalzare, anche se ormai non dobbiamo più temere ogni giorno che un predatore cerchi di divorarci. Stravediamo per i cibi dolci, salati o grassi seguendo una strategia assolutamente ragionevole per un cacciatore-raccoglitore”, ma ormai deleteria per noi sedentari abitanti di un pianeta e di ambienti sempre più riscaldati.
Il saggio affronta tematiche interessanti con il piglio narrativo tipico della grande divulgazione internazionale: i due autori intervengono in prima persona, in particolare per evidenziare le loro differenti interpretazioni, e frequenti box distribuiti nelle pagine consentono di evidenziare particolari digressioni. Ma è anche viziato da alcuni luoghi comuni culturali, per esempio quello secondo cui abbiamo “inventato” un’infinità di miti “per spiegare la natura inesplicabile della natura”. Sappiamo bene, in realtà, che lo storytelling mitologico e la conoscenza razionale procedono in parallelo e che il primo sopravvive e, anzi spesso prevale, anche in situazioni di avanzata evoluzione socio-culturale.
Assolutamente opportuno, quindi, ricordare che “l’intuito è qualcosa di incredibilmente potente. Non possiamo fare a meno di osservare l’Universo attraverso le nostre lenti deformanti. Invece molte cose sono diverse da ciò che sembrano”. Abbiamo riconosciuto i limiti dei nostri sensi e siamo riusciti a espanderli mediante la tecnologia. Ma nessuna forma di innovazione è immune dal filtro della neofobia, della diffidenza verso teorie e modelli diversi da quelli adottati in precedenza, che condiziona sia i pubblici non esperti sia gli addetti ai lavori che, in quanto interpreti autorizzati della realtà di fatto, detengono la verità ufficiale. Basti dire che “Platone credeva che fossimo in grado di vedere grazie ai raggi invisibili emessi dai bulbi oculari”; che “i primi biologi pensavano che lo spermatozoo contenesse un omuncolo, una versione microscopica di un individuo, e che il compito della donna fosse solo quello di fungere da incubatore”; che Newton fu anche alchimista e Galileo astrologo. E quante grandi scoperte sono state a lungo osteggiate dagli accademici dell'epoca in cui sono avvenute.
“Nel corso del tempo la scienza ha commesso un sacco di errori”, convengono Fry e Rutherford. Del resto, sbagli e pregiudizi sono consustanziali alla ricerca scientifica, costituiscono le fondamenta del suo metodo: “Qualcuno dirà che è proprio il compito della scienza quello di sbagliare, perché è da lì che si parte per sbagliare un po’ di meno e, dopo qualche tentativo, trovare la risposta giusta. Nel complesso la storia segue una traiettoria verso il progresso”. La “differenza tra ciò che sembra intuitivamente vero e la verità scoperta dagli scienziati” è molto sfumata e gli autori hanno ragione quando avvertono: “L’errore che a volte si fa e che spesso si insegna è di considerare la scienza come una banca della conoscenza”, anziché evidenziare sviste e passi falsi “che accompagnano la crescita continua” del nostro sapere.
Titolo: Guida definitiva a (quasi) tutto
Categoria: Saggi
Autore: Hannah Fry e Adam Rutherford
Editore: Bollati Boringhieri
Pagine: 290
Prezzo: 25,00