In un volume, la complessità biologica. E non solo (2° parte)
In “Per comprendere la complessità biologica”, la biochimica Lilia Alberghina, pioniera nello studio della bioinformatica e della systems biology, professoressa emerita dell’Università di Milano-Bicocca e recentemente insignita dell’onorificenza al merito da parte della presidenza della Repubblica, analizza questo tema. Ma offre anche un quadro dell’attuale ricerca biomedica italiana, come sottolinea Alberto Luini dell’Istituto per l’endocrinologia e l’oncologia sperimentale del Cnr
Continuando nell’analisi della complessità e delle procedure più idonee ad aumentare la conoscenza dei sistemi biologici, il saggio discute l’uso di approcci di systems biology nella ricerca sul cancro. Alberghina qui è critica verso la dominanza della ricerca che definisce genomica o Dna-centrica, basata come si diceva sull’uso delle grandi banche dati genomiche e su concetti incentrati sulla regolazione di espressione di geni, od oncogeni, nel meccanismo della trasformazione tumorale. Alberghina suggerisce che questa dominanza potrebbe essere sostenuta anche da motivi economici e di potere nel mondo accademico e industriale, che non intende recedere da questa scelta per queste “vili” ragioni, piuttosto che per ragioni scientifiche.
La biochimica propone un cambio di paradigma basato sulla metabolomica (systems metabolomics) come principale strumento omico di indagine sul tumore. L’approccio metabolomico ha avuto sviluppi importanti nell’ultimo decennio e, sostiene il saggio, ha il vantaggio su altre omiche di poter produrre fedeli “impronte digitali” di molte condizioni patologiche o fisiologiche. A chi scrive sembra tuttavia eccessivo pensare alla systems metabolomics come approccio omico centrale. Sembrerebbe più produttivo invece integrare i vari approcci omici, anche usando le tecniche in forte sviluppo di data integration. Qui l’intento del volume è probabilmente di affermare con forza un’idea importante ritenuta sottovalutata dalla ricercatrice. Forse il ben noto spirito combattivo dell’autrice ha prevalso su una visione più ampia, che è ovviamente molto presente nel libro, ma meno evidente in questa parte.
Un terzo grande tema del libro è quello delle condizioni sociali economiche, politiche e culturali all’interno delle quali la ricerca biomedica e, in questo periodo storico, la systems biology si sviluppa. Come nota l’autrice, l’importanza della complessità biologica non è solo di ordine scientifico e medico, ma è anche legata al suo impatto sull’economia e la società. Tra i fattori importanti in questo campo c’è il comportamento delle industrie farmaceutiche. Le BioPharma internazionali sono riuscite negli scorsi anni a sfruttare efficacemente le opportunità offerte dagli sviluppi della biotecnologia e della biologia Dna-centrica, mentre l’industria farmaceutica italiana, e di fatto l’intero sistema Industria-Università-Governo, non è stato competitivo in questa fase, in parte anche a causa della frammentazione della nostra industria farmaceutica.
Alberghina qui sostiene che il cambiamento di paradigma verso la systems biology e systems metabolomics che sta avvenendo possa diventare una nuova opportunità, questa volta da non perdere, per la bio-industria farmaceutica italiana. Questo anche a fronte della necessità di un aumento di produttività e di posti di lavoro, sapendo che esiste un capitale umano non utilizzato in quelle decine di migliaia di giovani qualificati e preparati che abbandonano l’Italia ogni anno per andare all’estero e lì stabilirsi.
La ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica nell’era della complessità, sostiene la ricercatrice, tornando su proposte organizzative, richiede una grande riorganizzazione della ricerca, quindi evidentemente delle Istituzioni di ricerca, di tipo big science. Un modello proposto è quello attuato dall’Istituto nazionale di fisica nucleare, capace di far collaborare centinaia di laboratori sullo stesso grande progetto.
Grandi temi come si vede, alcuni dei quali richiedono veri e propri shifts di paradigmi culturali e scientifici. Il merito di questo saggio è quello di offrire punti di vista utili per vedere dall’alto i panorami della scienza e della società moderna. Le soluzioni offerte da Alberghina, anche se non del tutto condivisibili per tutti (ma se lo fossero sarebbe un cattivo segno), rappresentano comunque un forte stimolo per la comunità della ricerca biomedica italiana, tradizionalmente piuttosto inerte in questa area. Si potrebbe dire che le riflessioni della studiosa sono la cosa forse più simile al prodotto di un Think Tank italiano (di cui non conosco l’esistenza) sulla ricerca biomedica.
È, dunque, un libro indirizzato a biologi maturi, che hanno o dovrebbero avere una visione propria della ricerca e dei problemi sociali, economici e politici che stanno intorno della ricerca biologica, ma che potrebbe essere letto utilmente anche da giovani da poco entrati in questo mondo e da tutte le persone interessate allo sviluppo della ricerca biomedica nel nostro Paese.