In un volume, la complessità biologica. E non solo (1° parte)
In “Per comprendere la complessità biologica”, la biochimica Lilia Alberghina, pioniera nello studio della bioinformatica e della systems biology, professoressa emerita dell’Università di Milano-Bicocca e recentemente insignita dell’onorificenza al merito da parte della presidenza della Repubblica, analizza questo tema. Ma offre anche un quadro dell’attuale ricerca biomedica italiana, come sottolinea Alberto Luini dell’Istituto per l’endocrinologia e l’oncologia sperimentale del Cnr
La complessità dei sistemi biologici è generalmente riconosciuta come il problema di fondo della biologia di oggi. Il saggio della biochimica Lilia Alberghina analizza gli aspetti scientifico-tecnici della complessità biologica ma, come è caratteristico dell’autrice, non si ferma qui. Si rivolge anche, anzi dedica molto spazio a un altro tipo di “complessità” che a esso si accompagna necessariamente, quello delle scelte di tipo politico, sociale ed economico che è necessario fare per affrontare il problema e per sfruttare le opportunità che ne derivano. Il risultato è una rappresentazione ampia della situazione della ricerca biomedica nel mondo di oggi, in particolare di quella italiana e dei suoi vari aspetti critici, che ci interessano da vicino. Questo ramificato materiale è raccontato mantenendo un filo logico centrale in modo competente e con un linguaggio dal giusto grado di colta complessità, capace di impegnare il lettore in modo piacevole.
Cos’è la complessità biologica e come la stiamo affrontando? Domanda difficile, visto che non esiste una definizione universalmente accettata della complessità, anche se alcune proprietà dei sistemi complessi vengono comunemente ritenute generali. Ad esempio, i sistemi complessi sono composti da molte parti connesse da relazioni non lineari, il cui comportamento esibisce proprietà emergenti non proprie delle parti, e spesso mostra caratteristiche come l’auto-organizzazione, i meccanismi di feedback e la capacità di adattamento alle richieste esterne. Tutto questo rende i problemi complessi molto difficili da risolvere per la nostra mente.
Approcci per affrontare la bio-complessità sono stati elaborati nel corso di vari anni, generalmente nel contesto della systems biology, anch’essa difficile da definire, e vengono usati in varie istituzioni di ricerca ormai da tempo. La systems biology si può pensare come un’idea ombrello il cui approccio caratterizzante è la costruzione di modelli matematici dinamici delle risposte biologiche basati su grandi quantità di dati raccolti mediante tecnologie spesso omiche, e infine l’uso, vista l’incapacità della nostra mente di gestire direttamente questo tipo di modelli, di tecniche di intelligenza artificiale. L’obiettivo è predire il comportamento dinamico dei sistemi biologici complessi quando esposti a perturbazioni di origine ambientale o interna all’organismo, come quelli che si possono verificare in condizioni patologiche.
Alberghina è una convinta sostenitrice della systems biology, ma nota gravi difetti nell’applicazione di questa idea nella realtà di oggi. Un problema è, banalmente, che non è sufficientemente conosciuta e usata. Nei laboratori di ricerca, anche italiani, il paradigma “sistemico” è rimasto in ombra, mentre è ancora dominante quello “riduzionistico”, così potente e produttivo nello scorso secolo, che è basato sullo “spezzettare” e analizzare le funzioni biologiche nelle loro componenti e interazioni molecolari. Il metodo riduzionistico, per quanto necessario e importante, può solo produrre descrizioni parziali e statiche, piuttosto che complete e dinamiche, dei sistemi a cui si applica.
Un altro problema, più fondamentale, sta, secondo l’autrice, nella risposta della comunità scientifica, della politica e dell’economia al problema della complessità biologica. Alberghina nota un’importante distorsione rispetto agli obiettivi dell’approccio di sistema, che è essenzialmente quello di comprendere i sistemi. Nota cioè che l’investimento economico predominante è stato diretto alla raccolta di grandi volumi di informazione organizzata in banche di dati sempre più ricche e costose, in gran parte incentrate su dati di tipo genomico piuttosto che alla comprensione meccanicistica dei sistemi biologici. Naturalmente le banche dati sono strumenti preziosi. Ma non rappresentano la soluzione del problema, anzi, come nota Alberghina, ne possono frenare la soluzione perché il loro costo è tale da drenare risorse dal tipo di attività che dovrebbe essere centrale, quello, come già notato, direttamente mirato alla comprensione dei nessi causali alla base dei fenomeni biologici. La parte essenziale della ricerca rimane quindi, secondo Alberghina, inibita per carenza di risorse.
Ma quali sono le alternative? Qui, secondo chi scrive, emerge una carenza non solo del saggio ma anche, forse in generale, del pensiero attuale sulla biocomplessità. Alberghina propone assemblaggi di grandi gruppi di laboratori, che lavorino in modo coordinato (forse da una Fondazione) e con la partecipazione dell’industria, e descrive anche approcci specifici basati sull’uso dell’Intelligenza artificiale. L’autrice cerca anche di articolare una mappa concettuale del sistema scientifico industriale che dovrebbe sostenere in senso economico e organizzativo la ricerca sulla salute umana mediante l’uso della systems biology. Ma questo non differisce in modo fondamentale dalla costituzione di Istituti di systems biology o di altre organizzazioni simili, che esistono già da tempo ma non hanno dato, almeno a giudicare dalla insoddisfazione di Alberghina, il necessario impulso al cambiamento della ricerca biomedica. (segue)