Tutti percepiamo un’insicurezza crescente. L’attualità rigurgita conflitti e attentati; prendere un aereo ci sottopone a un calvario di controlli – ci siamo rapidamente dimenticati di quando non era così – e ci pensiamo due volte prima di raggiungere certe mete turistiche un tempo comuni; i luoghi pubblici sono presidiati dalle forze di sicurezza come non accadeva da molti anni; e strane guerre – conflitti che ci sarebbero parsi del tutto improbabili appena dieci anni fa – sembrano sorgere dal nulla. Ci siamo pure dimenticati che, solo vent’anni fa, espressioni come «guerra di religione» o «scontro di civiltà» sarebbero parse un riferimento libresco a un Medioevo superato dalla storia. Contemporaneamente, nuove ondate migratorie aprono scenari a cui non eravamo preparati, e paiono il preludio a esodi di interi popoli. Se osserviamo le aree ove questi sommovimenti si originano – per poi espandersi e colpire altre regioni – hanno tutte qualcosa in comune: il clima che cambia mette a dura prova le società fragili.
Sarebbe difficile tracciare una precisa concatenazione di cause ed effetti fra il riscaldamento globale e i singoli eventi che ci hanno traumatizzato ultimamente: i recenti attentati in Europa – a Parigi, Nizza, Bruxelles, Berlino, Manchester Londra, ad esempio – c’entrano qualcosa col clima? E quel particolare barcone di rifugiati siriani? Difficile dirlo, ma una cosa è ormai considerata certa: il clima che cambia ha giocato una parte determinante nel provocare il crogiolo di disagi, violenze e fanatismi in cui tutti questi eventi hanno radici. Il clima sta cambiando dappertutto e le sue conseguenze sulla pace, la stabilità e la sicurezza riguardano l’intero pianeta: certi scenari che esamineremo non promettono nulla di buono in Asia o in America Latina.
Tuttavia, le crisi aperte e più chiaramente crescenti nel breve termine convergono per cerchi concentrici sul Mediterraneo e, nel bel mezzo del nostro mare, trovano un punto focale in un’Italia che si distende come un ponte fra la sua sponda meridionale e l’Europa. Non siamo i soli a dover fronteggiare il problema: la coesione europea ha vacillato con l’arrivo di circa un milione e mezzo di migranti, sia sulla rotta mediterranea che su quella balcanica. Ma proiezioni inquietanti – discutibili perché nessuno ha la sfera di cristallo, però di fonti autorevoli come le Nazioni Unite – considerano possibile per le sole cause ambientali l’esodo di 200 milioni di persone entro il 2050. In tutto questo, l’Italia è in prima linea: lo sanno bene a Lampedusa.