Focus: Migrazioni

Studenti stranieri in Italia: un lungo peregrinare

Studenti
di Cecilia Migali

Sessantamila studenti extracomunitari studiano nelle nostre università. Un rapporto a cui ha collaborato l’Irpps-Cnr rivela una buona integrazione e un’alta soddisfazione. L’aspetto critico è l’abbandono del Paese dopo il titolo, per le scarse possibilità di inserimento nel mondo del lavoro

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In Italia, dati Miur, sono 62.307 gli studenti non Ue iscritti nel nostro sistema universitario, inclusi i figli degli immigrati. Ma cosa dicono questi ragazzi della loro scelta? Secondo il VI rapporto dell’European Migration Network del Centro studi e ricerche Idos, a cui ha collaborato l’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Cnr sotto la guida di Maria Carolina Brandi, per il 24,4% dei 1.200 studenti intervistati, l’Italia viene inizialmente scelta per le buone prospettive di carriera. Per quanto riguarda l’inserimento nella vita sociale del nostro Paese, “per il 66,1% del campione l’integrazione è buona o ottima, sufficiente per il 23,9%”, spiega Andrea Pelliccia, ricercatore Irpps-Cnr e tra gli autori dell’indagine. “In particolare, per coloro che provengono dai Paesi europei non appartenenti all’Ue l’integrazione è buona o ottima per il 77% e il 60,7% della popolazione complessiva dichiara soddisfazione per la propria esperienza di studio in Italia”.

Dall’indagine, che ha preso in esame persone di 98 nazionalità, iscritte a 61 atenei nazionali, emerge che un terzo degli studenti lavora per mantenersi agli studi. “Per lo più si tratta di ristorazione e servizi per le imprese, purtroppo nella metà dei casi parliamo di lavoro nero, percentuale aumentata di 10 punti nell’ultimo biennio”, prosegue Pelliccia. “Uno su 4 si sforza di inviare risparmi ai propri familiari”.

Tre studenti su quattro ritengono soddisfacente il proprio rendimento negli studi e il 15,6% lo considera eccellente, appena il 9% parla di insufficienza. “Le valutazioni più positive vengono dagli studenti africani e americani”, puntualizza il ricercatore, “quelle più negative dagli asiatici, mentre il rapporto con i docenti è definito eccellente da 7 su 10”.

Dunque un’esperienza nel complesso positiva, sia per gli studi sia per la vita sociale. L’aspetto critico che i ricercatori mettono in luce riguarda il periodo postuniversitario. “Chi sceglie di frequentare l’università all’estero spesso lo fa preve­dendo di restare a lavorare nel Paese dove conseguirà il titolo, infatti il 40,7% avrebbe l’intenzione di fermarsi in Italia, tanto più quando parliamo di figli di immigrati”, conclude Pelliccia. “Circa un terzo del campione, però, ha già deciso di lascare l’Italia dopo la laurea per le scarse possibilità di inserimento nel mondo del lavoro e un altro terzo è in dubbio se restare o no. Il numero degli studenti stranieri negli atenei italiani non è cresciuto quan­to quello negli atenei degli altri Paesi, proprio per il carente collegamento tra mercato occupazionale e sistema universitario. In sostanza, gli universitari extracomunitari che hanno scelto l’Italia emigrano di nuovo per cercare un lavoro adatto alla propria qualificazione, come del resto fanno molti italiani”.

Fonte: Andrea Pelliccia, Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali, Roma, tel. 06/492724212 , email andrea.pelliccia@irpps.cnr.it -

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