Pnrr e ricerca: un confronto tra Italia, Francia, Germania e Spagna
Nel nostro Paese, le risorse destinate a questo settore dal Piano nazionale di ripresa e resilienza sono le più alte rispetto a quelle che a questo ambito sono riservate dagli altri tre Stati europei. Ma differenze ci sono anche a livello di strategie nell’impiego dei fondi, come illustrano Raffaele Spallone, Andrea Filippetti e Fabrizio Tuzi, ricercatori dell’Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie “Massimo Severo Giannini” del Cnr
Sin dalla comparsa in Europa dei primi casi di Covid-19, i governi e la Commissione europea hanno avviato misure straordinarie di sostegno alle economie degli Stati membri. Il risultato finale di questo processo ha portato alla formulazione dei singoli Piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr). Il Pnrr presentato dall’Italia prevede l’allocazione di 191,5 miliardi di euro finanziati attraverso il Dispositivo per la ripresa e la resilienza e di 30,6 miliardi di euro attraverso il Fondo complementare a valere sullo scostamento pluriennale di bilancio. Il totale dei fondi previsti ammonta quindi a 222,1 miliardi di euro.
La domanda di fondo è: sarà in grado il Pnrr di far compiere all’Italia un salto quantico verso un modello economico sostenibile trainato dalla ricerca e dall’innovazione nella manifattura e nei servizi avanzati? Molto dipenderà dall’effettiva implementazione delle azioni programmate dal Pnrr all’interno delle quali il compito assegnato alla ricerca pubblica è cruciale. Il Pnrr, infatti, colloca la politica della ricerca all’interno di una più vasta trasformazione del sistema economico italiano, laddove prevede di integrare la spesa per ricerca pubblica in un più ampio contesto che include anche lo sviluppo sperimentale, il trasferimento tecnologico, la spesa privata in ricerca, innovazione e formazione. L’obiettivo è quello di fare in modo che la ricerca pubblica giochi un ruolo fondamentale quale potenziale moltiplicatore in grado di attivare investimenti in ricerca privata e innovazione.
Complessivamente le risorse destinante alla ricerca e sviluppo previste nel Piano nazionale di ripresa e resilienza ammontano a circa 16,94 miliardi di euro, circa il 7,6% complessivo delle risorse totali stanziate dal Pnrr e dal Fondo complementare. La maggior parte degli investimenti si concentrano sulla ricerca applicata e lo sviluppo sperimentale (circa 10 miliardi complessivi), segue il finanziamento della ricerca di base (con 4 miliardi), le azioni trasversali e di supporto (1,88 miliardi) e, infine, il trasferimento tecnologico (380 milioni).
In termini di comparazione il Pnrr fa registrare l’investimento più alto in termini assoluti (16,5 miliardi), che equivale al 7,5% del totale delle risorse disponibili, rispetto ai Piani presentati da Germania, Francia e Spagna. Nel Darp tedesco vengono destinate a ricerca, sviluppo e innovazione circa un terzo delle risorse complessive, pari a circa 9 miliardi di euro. Il Piano francese destina a ricerca sviluppo e innovazione circa il 22% delle risorse (9,3 miliardi di euro), mentre la Spagna, con una dotazione complessiva di 4 miliardi, alloca la percentuale di risorse più bassa (5,5%) tra i quattro Paesi presi in esame.
Emergono altre differenze, in termini di strategia, tra i diversi Piani. La Germania e la Francia destinano le risorse disponibili verso specifiche filiere industriali, mentre nel caso dell’Italia vi è una quota relativamente più elevata che va a sostegno di misure orizzontali che non prevedono, ex ante, un settore industriale di destinazione privilegiato. Questo è probabilmente da mettere in correlazione con una struttura industriale diversa, caratterizzata, nel caso della Francia e della Germania, dalla presenza di grandi imprese nei settori più avanzati.
Esistono oggi le condizioni affinché il sistema della ricerca e dell’innovazione dia un contributo decisivo alla ripresa economia, e tali condizioni devono essere mantenute assicurando adeguate risorse ordinarie anche quando le risorse straordinarie del Pnrr avranno esaurito il proprio compito. Gli attori pubblici della ricerca sono chiamati quindi ad assumere un ruolo centrale nel disegno definito nel Pnrr in quanto, operando sulla frontiera della scienza, sono in grado di aprire nuove traiettorie tecnologiche. Questi - e tra di essi il Cnr è in prima fila in quanto maggiore ente pubblico di ricerca - dovranno dunque essere pronti ad affrontare la sfida attraverso l’ampio ventaglio di azioni, interventi e soluzioni previste all’interno del Piano e fare in modo che gli investimenti previsti abbiano concrete ricadute sulla collettività e sul sistema socio-economico nazionale.
La sfida che l’Europa ha dinanzi a sé, tuttavia, impegna tutti i livelli di Governo, europeo, nazionale e territoriale: i livelli di Governo statali avranno la responsabilità della programmazione e del coordinamento delle politiche pubbliche. A tale riguardo, preme sottolineare come alle risorse del Pnrr andranno sommate anche quelle provenienti dalla programmazione comunitaria (i.e. politiche di coesione). Conseguentemente, le autonomie territoriali dovranno concorrere alla ricerca delle priorità di intervento nella fase di programmazione in una prospettiva sinergica di lungo periodo, e dovranno assicurare nella fase esecutiva che le risorse disponibili siano concretamente utilizzate per lo sviluppo dei rispettivi territori. Ritorna dunque centrale il tema della capacità di spesa delle risorse europee, che impegna gli Stati membri a un rinnovato impegno in termini di governance.
Fonte: Raffaele Spallone, Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie “Massimo Severo Giannini”, e-mail: raffaele.spallone@issirfa.cnr.it; Andrea Filippetti, Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie “Massimo Severo Giannini”, e-mail: andrea.filippetti@cnr.it; Fabrizio Tuzi, Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie “Massimo Severo Giannini”, e-mail: fabrizio.tuzi@cnr.it