L’ipotermia può salvare il cervello
La crioterapia, trattamento medico che si serve del freddo, oltre a essere utilizzata efficacemente in presenza di disturbi fisici come stiramenti muscolari o distorsioni, si è dimostrata utile anche nel trattamento di danni cerebrali, come spiega Marzia Baldereschi, ricercatrice dell’Istituto di neuroscienze del Cnr
La medicina moderna continua a stupirci con approcci innovativi, spesso ispirati a fenomeni naturali. Uno di questi è l'uso della crioterapia e dell'ipotermia mirata nel trattamento dei danni cerebrali, una tecnica che sfrutta il freddo controllato per proteggere il cervello in situazioni critiche. Ma come funzionano queste metodiche? “Tutte le cellule del nostro corpo funzionano a pieno regime solo a una temperatura di 37°C, abbassando tale valore le cellule vanno in letargo. Questo è particolarmente importante per le cellule nervose che, prive di scorte energetiche, se non raggiunte dal sangue muoiono in cinque minuti”, spiega Marzia Baldereschi dell’Istituto di neuroscienze (In) del Cnr. “Una tempestiva ipotermia può dunque mettere in stand by le cellule nervose, per poi farle tornare in attività quando il flusso sanguigno è stato ripristinato, l’ipotermia controllata (32-34°C) riduce infatti il fabbisogno di ossigeno cerebrale del 6% per ogni grado di riduzione della temperatura”.
Tante sono le situazioni che possono richiedere l’utilizzo di ipotermia controllata, dall’ictus cerebrale al grave trauma cranico, fino all’encefalopatia ipossica del neonato, una patologia che può presentarsi nel periodo vicino alla nascita per un insufficiente apporto di sangue e/o ossigeno al cervello del bambino. Nell’ultimo caso si parla di baby-cooling e con la terapia ipotermica i danni cerebrali si riducono del 20%, una percentuale importante. “Pur trattandosi in molti casi di metodiche ancora sperimentali, l’interesse del mondo clinico e della ricerca è molto alto perché si potrebbe intervenire su un larghissimo numero di pazienti non essendoci importanti controindicazioni. Ovviamente si tratta di procedure specialistiche, che devono avere luogo nelle terapie intensive o nelle sale cardiochirurgiche adeguatamente equipaggiate e con personale qualificato”, continua la ricercatrice.
L’ipotermia terapeutica è efficace anche quando il cervello subisce un danno a causa di un arresto cardiaco, che provoca la morte in pochi minuti delle cellule nervose. “L’arresto cardiaco improvviso è una delle principali cause di morte nel mondo; solo il 7% dei pazienti colpiti sopravvive e spesso subisce danni cerebrali irreversibili, ma un’ipotermia controllata, iniziata tempestivamente e mantenuta per 12-24 ore si è dimostrata efficace nel recupero neurologico di questi soggetti ed è in grado di aumentarne la sopravvivenza”, precisa Baldereschi.
Oltre a ridurre il fabbisogno di ossigeno, l’ipotermia controllata svolge anche altre funzioni. “Questa metodica riesce anche a inibire il rilascio di sostanze neurotossiche - per esempio radicali liberi e calcio intracellulare -, aumentando così le sue capacità di neuroprotezione. Limitare i danni cerebrali dovrebbe essere una priorità, sia dal punto di vista economico che sociale, poiché la disabilità che deriva da tali danni è permanente ed ha costi elevatissimi per l’intera società”, aggiunge l’esperta. “A oggi molti farmaci sono stati testati per un possibile effetto neuroprotettivo, ma con risultati negativi, il freddo si sta invece dimostrando uno strumento efficace; è giusto dunque puntare su questa forma di trattamento”, aggiunge l’esperta.
Il futuro di questa metodica si preannuncia quindi in ascesa. “Con l’avanzare della tecnologia, il raffreddamento terapeutico potrebbe diventare sempre più preciso e sicuro. Innovazioni come il raffreddamento selettivo, ovvero solo del cervello, promettono di ampliare le applicazioni di questa tecnica, ma la ricerca è ancora in corso: in Italia sono pochissimi i centri in cui si attua tale procedura, percepita ancora come pionieristica, ed è necessario investire in strutture, strumentazione e personale formato. Come per tutte le novità dobbiamo aspettarci lunghi tempi di implementazione, in parte legati all’istintiva resistenza al cambiamento”, conclude Baldereschi.
In un’epoca in cui la medicina si muove tra alta tecnologia e ritorno alle risorse naturali, la crioterapia dimostra quindi che il freddo non è solo un nemico, ma un alleato prezioso, forse il futuro della neuroprotezione passerà proprio da qui.
Fonte: Marzia Baldereschi, Istituto di neuroscienze, marzia.baldereschi@in.cnr.it