Ti uso e ti riuso
Il concetto di sostenibilità ci permette di poter guardare con maggiore speranza al futuro o semplicemente di immaginare un “mondo migliore”. È applicabile alle questioni sociali, ambientali, economiche, temi strettamente interconnessi che non possono realizzarsi separatamente, ma che devono essere analizzati nella loro fattispecie. Di economia circolare abbiamo parlato con Giorgio Matteucci, direttore dell’Istituto per la bioeconomia (Ibe) del Consiglio nazionale delle ricerche
Tra le parole chiave che interrogano la scienza e il Cnr in occasione del suo centenario ci sono “sostenibilità” ed “economia circolare”. Per economia circolare si intende un’economia basata sulla produzione e il consumo di beni destinati a essere reimpiegati, ma anche di un modello economico che mira a minimizzare gli sprechi e a massimizzare l'efficienza nell'uso delle risorse; una definizione che risponde perfettamente al criterio di sostenibilità. L’economia lineare, invece, spesso consiste “nell’usa e getta”. Infatti, molti oggetti che usiamo quotidianamente hanno vita breve: li utilizziamo e, quando non li vogliamo più, li buttiamo. La loro vita può essere più o meno lunga, ma la fine è quasi sempre la stessa: finiscono nei rifiuti.
“Lo sforzo attuale è quello di ribaltare il modello di economia lineare, ancora dominante in molti settori, e di passare all’economia circolare, in cui il processo produttivo viene disegnato guardando sin dall’inizio all’intero ciclo di vita”, sostiene Giorgio Matteucci, direttore dell’Istituto per la bioeconomia (Ibe) del Cnr. “I vantaggi sarebbero nell’uso efficiente delle risorse, nella riduzione dell’energia complessiva utilizzata, nel riuso dei materiali e nella realizzazione di cicli virtuosi di produzione”.
La conferenza ONU sull’ambiente del 1972, il rapporto Brundtland del 1987 e la conferenza ONU di Rio de Janeiro del 1992 hanno gettato le basi per una maggiore sensibilità su questo tema, e il percorso sulle negoziazioni internazionali ha portato nel 2015 ad approvare l’Agenda 2030, con 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS/SDGs, Sustainable Development Goals), che mettono insieme tutti e tre gli aspetti chiave della sostenibilità: ambientale (conservazione e gestione responsabile delle risorse naturali), sociale (benessere, qualità della vita, diritti e servizi essenziali) ed economico (distribuzione equa delle risorse, attenzione alle condizioni di lavoro), proponendo un nuovo paradigma di sviluppo, basato sulla 'finitezza delle risorse'.
Bucce di arancia per realizzare tessuti
“Il processo di produzione di un bene o anche di un servizio deve essere progettato tenendo in considerazione l'intero ciclo di vita, le risorse necessarie, gli impatti, i tempi di uso, l’eventuale riuso, sino ad arrivare al ‘fine vita’, in cui l’eventuale ‘rifiuto’ possa generare un nuovo uso”, aggiunge Matteucci. “In questo ambito, ritroviamo anche il concetto di ‘materie prime-seconde’, materiali derivati da riciclaggio, rigenerazione o trasformazione di prodotti già esistenti, che possono rientrare nel ciclo produttivo. Alcuni esempi interessanti sono la creazione di tessuti da scarti di industria alimentare, come le bucce di arancia o le vinacce dalla produzione di vino. Oppure quello della produzione di biochar o carbone vegetale, ricavato dell’uso di prodotti in legno. Il materiale di scarto viene così utilizzato per la produzione di energia tramite pirogassificazione e quello che rimane - il biochar - può essere usato in agricoltura, migliorando le caratteristiche del suolo e determinando anche un aumento dello stock permanente di carbonio, con effetti benefici sulla mitigazione del cambiamento climatico”.
Bisogna inoltre considerare come gli ecosistemi in cui viviamo, particolarmente sensibili e fragili, hanno risorse limitate. Ad esempio, nel settore delle produzioni primarie, di cui fanno parte la produzione, l’allevamento e coltivazione di prodotti di prima necessità, la sfida principale è quella di nutrire una popolazione in crescita e di fornire biomateriali rinnovabili, riducendo sprechi e impatti su ambiente e salute. A livello europeo, questi concetti sono stati inseriti nel Green Deal, che punta ad avere impatto zero sul clima al 2050. “L’Europa ha quindi puntato molto sull’aumentare la sostenibilità nelle proprie politiche. Sono però necessarie valutazioni per evitare che presunte scelte di sostenibilità a livello locale non determino poi un ‘trasferimento’ degli impatti in altri settori o fuori del territorio europeo”, conclude il direttore Cnr-Ibe. “Ad esempio, l’Unione Europea, Italia compresa, è già importatrice netta di derrate alimentari e va prestata attenzione a che le opzioni di messa in pratica della politica ‘Farm to Fork’ (dal campo alla tavola) non riducano le produzioni complessive. Per questo, per mantenere produzione efficiente e protezione dell’ambiente, la ricerca di frontiera sta puntando all’intensificazione sostenibile delle produzioni, riducendo gli impatti su territorio e biodiversità”.
Fonte: Giorgio Matteucci, direttore dell’Istituto per la Bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche