Focus: In che senso?

Percezioni "contaminate"

Cervello
di Rita Bugliosi

La sinestesia è una condizione neurologica che colpisce tra il 2 e il 4% della popolazione e che mostra la realtà in modo diverso a chi ne è affetto, dal momento che la stimolazione di un senso è associata a quella di un altro. A provocare questa interferenza si pensa sia un’alterazione del peso delle connessioni neuronali tra le diverse zone del cervello. Ne abbiamo parlato con il neuroscienziato Pietro Avanzini del Cnr-In

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Studiando la letteratura a tutti è capitato di imbattersi, magari inconsapevolmente, nella sinestesia, un procedimento retorico con effetto metaforico che consiste nell’associare in un’unica immagine due parole o due segmenti discorsivi riferiti a sfere sensoriali diverse. Come fa per esempio nel componimento “Il bove” Giosuè Carducci, che parla di “silenzio verde”, o Giacomo Leopardi ne “La sera del dì di festa”, in cui scrive “dolce e chiara è la notte”.  Come rivela la sua etimologia, il termine, che deriva dal greco syn, “insieme” e aisthànestai, “percepire”, indica un’esperienza di percezione simultanea.

Oltre a essere una figura amata dai poeti, la sinestesia è un fenomeno percettivo di natura neurologica, in cui si verifica il sincronismo funzionale di due organi di senso: la stimolazione di uno dei cinque sensi induce cioè, in maniera involontaria, una percezione secondaria relativa a un altro senso; si verificano quindi interferenze a seguito delle quali un suono può evocare un colore o un sapore può produrre una sensazione tattile. Come spiega Pietro Avanzini, ricercatore dell’Istituto di neuroscienze (In) del Consiglio nazionale delle ricerche: “Esistono diverse tipologie e, sebbene non esista una classificazione definitiva ed esaustiva, in base alla combinazione dei sensi coinvolti e alla peculiarità delle rappresentazioni evocate si tende a raggruppare le manifestazioni in categorie. La forma più comunemente riportata (circa 70%) è quella grafema-colore, in cui specifici numeri o lettere dell’alfabeto producono una visione colorata. A questa si affiancano: l’audio-visiva, in cui un suono o una melodia generano stimoli come colori o forme geometriche; quella tattile-specchio, in cui osservare altre persone che vengono toccate induce sensazioni fisiche sul corpo del sinesteta; quella lessico-gustativa, in cui a una parola ascoltata si associa un sapore”.

A essere affetti dalla condizione della sinestesia è un numero piuttosto ridotto di individui. “L’incidenza dei sinesteti è stata stimata tra lo 0,05 e l’1% della popolazione generale, anche se studi più recenti indicano questa condizione come più diffusa, fino a raggiungere il 2-4%”, chiarisce il ricercatore del Cnr-In. “Le ragioni della sottostima risiedono principalmente nell’assenza di disturbi o conseguenze negative secondarie: i sinesteti presentano un’intelligenza nella norma e gli esami neurologici standard non evidenziano particolari alterazioni. Per questa ragione, sebbene rappresenti una manifestazione neurologica indubbia, la sinestesia non è inserita nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm) o nella Classificazione statistica delle malattie (Icd)”.

Gli studi condotti negli ultimi anni evidenziano anzi alcune caratteristiche cognitive positive peculiari, quali “elevate abilità mnemoniche e una maggiore creatività, aspetti confermati da famosi artisti sinesteti, quali Kandinsky, Frank Zappa e Paul Klee, che dalle loro contaminazioni sensoriali traevano stimoli per la loro produzione artistica”, continua Avanzini. A parte questi aspetti positivi e nonostante non presentino deficit neuro-cognitivi, coloro che sono affetti da questa condizione presentano però alcune difficoltà associate. “Soprattutto durante l’adolescenza, la consapevolezza di avere un modo diverso di percepire il mondo rispetto agli altri può indurre un disagio emotivo; così come alcuni tipi di sinestesia, per esempio quella audio-visiva, possono interferire durante l’esplorazione spaziale”, precisa l’esperto.

Donna che annusa fiori

Sebbene i primi riferimenti in campo scientifico risalgano al 1690, solo negli ultimi decenni, grazie alla possibilità di esaminare tramite immagini la struttura anatomica e funzionale del cervello, è stato possibile elaborare tesi sulle cause che provocano la sinestesia. “Tra queste, la più accreditata ipotizza un’alterazione del peso delle connessioni neuronali tra le diverse zone del cervello. In pratica, sinapsi che durante il neurosviluppo sarebbero normalmente eliminate a causa del loro inutilizzo, verrebbero invece conservate, generando un ponte anomalo tra rappresentazioni neurali totalmente differenti. La sinestesia sarebbe quindi il prodotto di una ridondanza connettomica scarsamente rimodellata dai meccanismi di potatura (pruning) che guidano la neuroplasticità. Perché questo avvenga non è però ancora stato compreso. Sembra, inoltre, che esista una predisposizione genetica: studi recenti stimano una prevalenza di circa il 40% tra i parenti di primo grado di sinesteti, con notevoli somiglianze anche nella tipologia e nelle manifestazioni”, conclude Avanzini. “Resta ora da capire come il pattern genetico possa influenzare lo sviluppo della connettività cerebrale e quanto funzionalmente essa possa essere mitigata negli effetti disturbanti e valorizzata come risorsa arricchita di percezione del mondo circostante”. 

Fonte: Pietro Avanzini, Istituto di neuroscienze, pietro.avanzini@cnr.it

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