I processi di comunicazione sono estremamente dinamici: prevedono la trasmissione di un messaggio dalla fonte al destinatario, mediante un certo strumento, al fine di ottenere il ritorno atteso. La regola vale ancor più con i nuovi media, che hanno imposto alla comunicazione caratteristiche di celerità, interazione e diffusione– una sorta di overdose informativa - tali da metterci tutti in difficoltà: i più giovani perché privi delle competenze utili a gerarchizzare e discriminare le fonti, i più anziani perché meno avvezzi a quest'evoluzione tecnologica. I processi della conoscenza sono inevitabilmente molto meno concitati e farraginosi, consentono e anzi impongono tempi lunghi, con processi eterodiretti (i ricercatori sanno che la 'scoperta' arriva come e quando meno te l'aspetti), lunghe fasi di condivisione e confronto tra addetti ai lavori prima della diffusione pubblica dei risultati: nella ricerca l'effetto atteso, peraltro, non è necessariamente pratico, ma prima di tutto culturale.
Inevitabile, quindi, qualche difficoltà e incomprensione quando i temi e protagonisti della ricerca vengono messi a confronto con i frenetici mezzi della comunicazione. Ma c'è anche un'altra difficoltà da tenere in conto. Poiché entrambi i processi perseguono un feedback, la non competa coincidenza tra quello di chi produce e di chi comunica la conoscenza spesso stride agli occhi dei pubblici finali (cittadini, lettori, spettatori, navigatori, stakeholder). Pensiamo al caso delle vaccinazioni: gli 'scienziati' ne sostengono i maggiori benefici rispetto ai rischi, in una sostanziale unanimità, i contrari enfatizzano questi ultimi con una motivazione nobile, ma inconsistente dal punto di vista scientifico. Oppure pensiamo al tema dei cambiamenti climatici: il consenso alla tesi del riscaldamento globale causato o aggravato dall'uomo è amplissimo, ma mentre i ricercatori si limitano a indicare – con alcune cautele – i comportamenti utili alla mitigazione e all'adattamento al global warming, quando la questione passa all'opinione pubblica, ai media, alla politica, il dibattito sfocia spesso nella polemica.
L'etica ecologista, il rispetto dell'ambiente, la cura del nostro pianeta sono valori indiscutibili. La loro traduzione concreta è però fonte di equivoci, derive estreme ed eccessi. L'animalismo è ovviamente legittimo e apprezzabile, vegetarianesimo e veganesimo sono scelte degne del massimo rispetto, così come altri stili alimentari quali il 'bio', ma la verità scientifica su questi temi è complessa. La sperimentazione in vivo, purtroppo, è ancora una necessità, anche se dobbiamo ringraziare quanti si sono battuti contro quella che un tempo (ma ora non più) chiamavamo 'vivisezione' per aver spinto la ricerca a esplorare tecniche alternative. Persino l'evoluzionismo è talvolta utilizzato nella comunicazione pubblica in opposizione allo 'specismo', per sostenere cioè che l'uomo non vanta alcuna superiorità rispetto agli altri animali.
Dedichiamo il Focus monografico di questo numero dell'Almanacco della scienza agli animali, nel giorno di San Francesco loro dedicato, per dare un contributo a rendere questi temi meno controversi. Il confronto tra posizioni diverse è il sale della democrazia ma soprattutto il lievito della crescita culturale, sociale e quindi anche economica di una comunità. Purché sia condotto nel rispetto delle diverse competenze, incluse quelle specialistiche, davanti alle quali la semplice differenza di opinione non può assumere pari valore. Un altro elemento che aiuta a raggiungere verità condivise che siano davvero tali, e non semplici compromessi, è il rispetto profondo delle motivazioni dell'altro: l'aggressione compiuta a colpi di accuse di malafede, denigrazione personale e sospetti pregiudiziali induce inevitabilmente nell'interlocutore la tendenza al contrattacco e allontana sempre di più la possibilità dell'incontro.