Focus: Inversioni

Quando la geometria diventa musica

Canone inverso
di Luisa De Biagi

Il canone inverso, scrittura contrappuntistica sviluppata da Bach nella quale la melodia della seconda voce esegue gli stessi intervalli della prima ma per moto contrario, ha ispirato opere di vario genere. Tra queste, il romanzo di Paolo Maurensig del 1996, il film diretto da Ricky Tognazzi (2000) che ne è stato tratto e la colonna sonora di Ennio Morricone. Ce ne parla Angela Bellia, archeomusicologa e ricercatrice Marie Maria Skłodowska Curie fellowship presso l'Istituto di scienze del patrimonio culturale

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Una classica dimostrazione di quanto l’approccio logico-matematico e la tecnica si possano fondere con emozione e sentimento è la geometria musicale del canone inverso, una forma di contrappunto che, usata nel ‘300 e nel ‘400 soprattutto dai franco-fiamminghi attivi in Italia, fu ripresa e sviluppata da Bach nelle famose “Variazioni Goldberg”. Il matematico e divulgatore Benedetto Scimemi, esperto del nesso musica-matematica, vicepresidente dell’Unione matematica italiana e già membro del Comitato per la matematica del Cnr, in una delle sue conferenze-concerto ha tradotto questo linguaggio in quello spaziale-estensionale, tipico della geometria delle trasformazioni. Il tema della variazione/inversione ha ispirato anche lo scrittore Paolo Maurensig, non a caso cultore di scacchi e musica classica, autore del libro “Canone inverso” (1996), da cui è stato tratto l’omonimo film di Ricky Tognazzi (2000) con la colonna sonora per la quale Ennio Morricone ha ricevuto il David di Donatello, il Nastro d’argento e il Globo d’oro.

“Il titolo si deve alla particolare scrittura musicale adottata dal compositore e affidata a due violini: il primo espone una melodia, procedendo nel modo usuale dall’inizio verso la fine, mentre il secondo la suona dalla fine verso l’inizio; all’esecuzione delle melodie complete dei due violini segue una coda”, spiega Angela Bellia, archeomusicologa e ricercatrice Marie Maria Skłodowska Curie fellowship presso l’Istituto di scienze del patrimonio culturale del Cnr. “Questo tipo di elaborazione, che andrebbe definita canone retrogrado, è un tipo di scrittura contrappuntistica poco diversa dal canone inverso propriamente detto, nel quale la melodia della seconda voce esegue gli stessi intervalli della prima, ma al contrario. Semplificando, potremmo descrivere un evento musicale ricorrendo alle metafore di dimensione ‘orizzontale’, come espediente per agevolare la comprensione dello sviluppo nel tempo, e di dimensione ‘verticale’, per quella della manifestazione istantanea dell’evento. Da una parte le tecniche compositive sono tese all’elaborazione della linea melodica vocale e strumentale, dall’altra mirano a sviluppare la moltiplicazione simultanea di più linee melodiche nello spazio sonoro”.

A questo tipo di elaborazione si associa comunemente anche il termine polifonia, una composizione realizzata attraverso la combinazione simultanea di due o più linee melodiche. “Nel caso si tratti di una elaborazione con un’identica scansione temporale si tratterà di polifonia omoritmica, già nota nel IX secolo; in caso contrario, se vi sono svariate combinazioni polifoniche, si tratterà di polifonia poliritmica”, prosegue la ricercatrice. “La Scuola di Notre-Dame a Parigi fu una vera e propria fucina di sperimentazioni di architetture sonore che rimangono una testimonianza di ricchezza straordinaria sul piano dell’invenzione musicale e dell’elaborazione polifonica. Le loro complesse costruzioni sono veri pilastri della musica occidentale, che trova un punto di massimo sviluppo ed equilibrio fra polifonia poliritmica e omoritmica, nonché tra verticalità e orizzontalità, nei Corali di Johann Sebastian Bach (1685-1750). Il compositore fu anche autore di innumerevoli elaborazioni compositive con imitazione polifonica di un motivo melodico-ritmico, giocando fra due o più voci di un complesso polifonico. Si tratta del canone, un artificio contrappuntistico in cui una parte (comes, compagno) riproduce, come un’eco, un segmento melodico proposto da un’altra (dux, guida), intervenendo prima che abbia concluso la sua esposizione”.

Copertina del volume Canone inverso

La tecnica del canone si era già sviluppata nei secoli XIV e XV con la scuola franco-fiamminga. "Per conferire unitarietà al decorso musicale questi compositori non lasciarono inesplorata alcuna possibilità combinatoria della materia musicale, ‘costringendola’ in una forma dotata di vincoli solidi, stretti e multiformi nei quali l’arte era sinonimo di artificio e il numero era l’intelaiatura razionale della costruzione. Si svilupparono, così, quegli artifici contrappuntistici che saranno tipici dell’epoca fiamminga: una frase musicale, pur rimanendo la stessa, poteva essere scritta anche partendo dall’ultima nota e andando verso la prima (moto retrogrado o cancrizzante, cioè come i gamberi); oppure si potevano disporre a specchio i suoi intervalli, facendo scendere quelli che salivano o viceversa (moto contrario o inverso); infine, si poteva utilizzare la stessa frase esposta per moto contrario (retrogrado dell’inverso)”, chiarisce Bellia. “La melodia poteva essere presentata con valori ritmici più ampi (aumentazione) o più veloci (diminuzione); l’abilità del compositore consisteva nel combinarli insieme, in modo che le voci potessero imitarsi l’una con l’altra. Dopo una breve decadenza nella prima parte del XVII secolo, dominata dalla monodia accompagnata e dallo sviluppo dell’opera in musica, l’arte del canone rifiorì, attraversando tutta la storia del linguaggio musicale occidentale, da Bach e Handel all’età del Classicismo viennese, sino all’epoca romantica e moderna, rivivificato nelle tecniche seriali della Seconda scuola di Vienna. Al canone si dedicano ancora molti contemporanei, che si confrontano con le varie categorie di canone, alcune delle quali notevolmente ingegnose e complicate”.

Ritornando al malinconico brano di Morricone “Canone inverso” e al film, sottolinea la musicologa: “Il film ripercorre la vita del violinista Jeno Varga e dell’incontro con Costanza alla quale racconta di quando, bambino, suonava il violino senza conoscere la musica. Ricordando come, anni dopo, avesse conquistato con il suo talento la bellissima pianista Sophie e la sua esperienza al prestigioso Collegium Musicum, dove nacque l’amicizia con l’aristocratico David Blau. Le racconta poi dell’ultimo concerto a Praga dove i destini dei tre si incrociano e si dividono per l’irruzione delle SS naziste che arrestano tutti i musicisti ebrei, Jeno e Sophie compresi. Ripercorrendo a ritroso i luoghi che il violinista ha evocato, Costanza potrà scoprire che la musica che sentiva da bambina non era solo un ricordo, ma la prova della sua fino ad allora sconosciuta identità”, conclude Bellia.

Fonte: Angela Bellia, Istituto di scienze del patrimonio culturale, Marie S. Curie Fellowship, e-mail: angela.bellia@ispc.cnr.it

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