Come un brodo

L’aumento delle temperature che interessa la Terra ha effetti anche sulle acque, determinando un riscaldamento degli oceani. Questo fenomeno, a sua volta, si ripercuote sugli ecosistemi marini e sulle barriere coralline, che subiscono uno sbiancamento. Ma ricadute si hanno anche sulle gorgonie, soggette a morie. A parlarcene è Ester Cecere, già ricercatrice dell’Istituto di ricerca sulle acque del Cnr
Quante volte siamo entrati in mare per cercare un po’ di refrigerio dalla canicola estiva e abbiamo esclamato delusi: “L’acqua è calda come un brodo!”. Ebbene, a causa del riscaldamento globale, siamo condannati a ripetere questa espressione sempre più spesso.
Il riscaldamento globale o “global warming”, con cui si indica il riscaldamento della Terra dovuto all’alto livello di emissioni di gas serra. Questo, a sua volta, determina quello degli oceani. A tal proposito, i ricercatori della Chinese Academy of Sciences hanno esaminato i dati sulle temperature marine, raccolti da vari Istituti in tutto il mondo a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, e hanno scoperto che dagli anni ’90 in poi le temperature degli oceani hanno subito un’impennata, con l’oceano Atlantico e l’oceano Antartico che hanno registrato gli aumenti più importanti. L’innalzamento della temperatura ha degli impatti importanti sugli ecosistemi marini, in particolare sulle splendide barriere coralline, formazioni tipiche dei mari tropicali, costituite dal deposito degli scheletri calcarei delle madrepore, erroneamente chiamati coralli. Le madrepore sono strettamente affini alle attinie (i comuni anemoni di mare), ma a differenza di queste, sono organismi coloniali, formati da un insieme di piccoli individui, i polipi, e producono un esoscheletro (scheletro esterno) di carbonato di calcio.
Sebbene occupino solo lo 0,2% dell’intero ambiente marino, le scogliere coralline sono l’ecosistema con più alto tasso di biodiversità e ospitano un terzo di tutte le specie marine conosciute. Le scogliere coralline soffrono per l’aumento della temperatura dell’acqua di mare che ne provoca lo sbiancamento, “bleaching” in inglese. Esso è dovuto all’espulsione delle zooxantelle dalla colonia. Esiste, infatti, una simbiosi mutualistica (una convivenza che porta un reciproco vantaggio) tra madrepore e zooxantelle, alghe verdi unicellulari che si insediano al loro interno. Le alghe zooxantelle ottengono dai cataboliti (materiali di scarto) dei polipi, sostanze nutritizie (fosfati, nitrati, anidride carbonica) utili per effettuare la fotosintesi clorofilliana dalla quali i polipi, a loro volta, ottengono ossigeno e prodotti sui quali si basa parte della loro alimentazione. Inoltre, la fotosintesi delle microalghe sottrae anidride carbonica dalla colonna d’acqua, favorendo così la deposizione di carbonato di calcio indispensabile per la formazione dell’esoscheletro delle madrepore. Una madrepora può ospitare alcuni milioni di zooxantelle per centimetro quadrato di superficie, le quali conferiscono alle madrepore la loro splendida colorazione. Studi recenti hanno suggerito che una temperatura troppo alta altera il processo fotosintetico delle zooxantelle, determinando l’aumento della produzione di ossigeno e un eccesso di questo gas danneggia le strutture cellulari dei polipi. Pertanto, al fine di evitare tali danni, i polipi sono costretti a espellere le zooxantelle. Però, senza di esse per un periodo prolungato, i polipi muoiono e le madrepore perdono il loro colore, cioè si “sbiancano”.

Madrepore sbiancate
Ai danni dell’aumento della temperatura si aggiungono quelli causati dall’aumento dell’acidità. L’anidride carbonica, infatti, sciogliendosi in mare, ne aumenta l’acidità; in queste condizioni si forma meno carbonato di calcio, sostanza di cui sono formati i gusci e gli scheletri di organismi marini come conchiglie ma anche madrepore e coralli.
I fenomeni di bleaching sono in aumento. Nel 2016 sulla costa orientale dell’Australia, che ospita la Grande Barriera Australiana nota anche come “Great Reef”, si è verificato il più intenso evento di bleaching mai registrato, che ha interessato tra il 57 e l’80% delle madrepore. L’ondata di calore del 2023 ha causato lo sbiancamento del 77% delle barriere coralline nei Caraibi. Si prevede che un incremento di 1.5°C di temperatura dell’acqua di mare possa causare il declino del 70-90% delle scogliere coralline, declino che arriverebbe sino al 99% in caso di aumento di 2°C. La morte dei coralli provoca l’impoverimento di questi ecosistemi marini che ospitano circa il 25% di tutte le specie presenti nei mari e negli oceani. Tuttavia, il danno della perdita delle scogliere coralline non è solo ecologico e biologico a causa della diminuzione della biodiversità, ma è anche socioeconomico, per tutte quelle popolazioni la cui sopravvivenza è a esse legata.
Ma anche le gorgonie, organismi coloniali bentonici fra i più emblematici e rappresentativi delle comunità marine del Mediterraneo, “soffrono il caldo”. Il Mar Mediterraneo, infatti, per le sue caratteristiche di bacino semichiuso, è soggetto maggiormente al riscaldamento delle acque e svolge un importante ruolo di sentinella dei cambiamenti climatici. Il progetto “Mare Caldo”, condotto da Greenpeace e da ricercatori dell’Università di Genova, su ben 9 aree marine protette italiane ha mostrato che dagli anni ’80 del secolo scorso a oggi le temperature superficiali del mare sono aumentate di circa 1°C nell’Area marina protetta del Plemmirio (Sicilia) e di ben 1,7-1,8°C in quella di Portofino e dell’Isola d’Elba.
Negli ultimi 20 anni ingenti morie di gorgonie si sono osservate nelle estati più calde, quando la temperatura dell’acqua di mare ha raggiunto o superato i 24°C. È stato ipotizzato che le morie possano essere ricondotte alla scarsa disponibilità di cibo, dovuta alla stratificazione delle acque (le acque più calde sono superficiali) o all’espulsione delle microalghe per quelle gorgonie che vivono in simbiosi con esse o ancora allo sviluppo di un patogeno che si attiva col calore e che provoca la morte dei tessuti, cosicché delle gorgonie resta solo lo scheletro.
Il riscaldamento del Mar Mediterraneo che procede a ritmi più veloci rispetto alla media globale, mette a serio rischio anche i cetacei, presenti con 11 specie nel Mediterraneo, le quali possono rispondere alla variazione delle condizioni climatiche spostandosi, ma che sono sempre condizionati anche dalla distribuzione delle loro prede.
Un nuovo studio, condotto dai ricercatori dell’Ispra rivela che già tra 25 anni si potrebbe verificare una riduzione delle condizioni climatiche idonee alla balenottera comune, alla stenella e al tursiope nel Mediterraneo. Ma anche le tartarughe se la passano male. Il loro sesso, infatti, viene determinato dalla temperatura alla quale viene lasciata la covata: da uova deposte a meno di 27°C usciranno principalmente maschi, mentre da uova lasciate a oltre 30°C nasceranno soprattutto femmine. A oggi non è ancora chiaro quale possa essere il significato o il vantaggio evolutivo di far scegliere all'ambiente il sesso della prole. Tuttavia, all’aumentare delle temperature ambientali si otterranno più femmine che maschi e questo potrebbe causare l’estinzione delle specie.