Il ruolo femminile nella biologia marina
Ester Cecere dell’Istituto di ricerca sulle acque del Cnr ricorda alcune importanti studiose che hanno operato in questo campo, partendo dalla pioniera in tale disciplina, Jeanne Villepreux-Power, per arrivare a Sylvia Earle, scienziata ancora in vita, che tuttora, a 89 anni di età, prosegue la sua campagna di sensibilizzazione per la protezione degli oceani
La nascita della biologia marina è senza alcun dubbio attribuibile agli uomini. Aristotele nel suo “Historia animalium” del 343 a. C. descrisse più di 500 “esseri viventi” sulla base delle sue osservazioni condotte nella laguna di Pirra, ora Golfo di Kalloni nell’isola di Lesbo.
Nel XVIII secolo, Samuel Gmelin pubblicò “Historia fucorum”, prima opera dedicata alle alghe marine e primo libro di biologia marina in cui venne usata la nuova nomenclatura binomiale di Linneo. Edward Forbes (XIX secolo) è considerato il fondatore della moderna biologia marina, avendo pubblicato “Storia delle stelle marine britanniche” e “Relazione sui molluschi e radiati del Mar Egeo”. Tuttavia, se quanto detto è inconfutabile, in tempi moderni le donne hanno avuto un ruolo fondamentale in questo ambito ma non solo, con buona pace di Aristotele che nel “De generatione et corruptione” scrisse che la donna è un uomo mancato e di San Tommaso D’Acquino che riteneva le donne mentalmente incapaci di mantenere una posizione di autorità, in quanto esseri difettosi e manchevoli.
La biologia marina rientra nell’oceanografia biologica, che si occupa dello studio della flora e della fauna degli organismi che svolgono la loro vita o parte di essa nel mare e che comprendono sia specie submicroscopiche sia gigantesche, come i grandi cetacei. La pioniera della biologia marina è universalmente considerata Jeanne Villepreux-Power (Juillac, 24 settembre 1794-25 luglio 1871), biologa francese che nel 1818 si trasferì col marito a Messina. Lì visse per circa 25 anni, durante i quali studiò scienze naturali, facendo esperimenti su animali marini e terrestri in modo da poter ricreare l’ecosistema dell'isola. Jeanne Villepreux, prima studiosa al mondo di queste discipline, nel 1832 realizzò acquari per condurre ricerche sugli organismi marini. Il paleontologo inglese Richard Owen la definì la madre dell'acquariofilia. Realizzò tre tipi di acquari: uno di vetro per il suo studio, uno di vetro sommergibile in una gabbia e una gabbia per molluschi più grandi che si sarebbero ancorati in mare. Per prima applicò, quindi, il metodo delle osservazioni in ambiente controllato.
Nel 1839 uscì il suo trattato “Observations et expériences physiques sur plusieurs animaux marins et terrestre”, in cui descrisse i suoi esperimenti, e nel 1842 pubblicò il suo secondo libro intitolato “Guida per la Sicilia”, ripubblicato dalla Società storica di Messina.
Importanti i suoi studi sul mollusco cefalopode Argonauta argo (Linneaus, 1758) con cui dimostrò che gli individui producono il proprio guscio e non acquisiscono quello di un altro organismo, come si era ritenuto fino ad allora. Non solo, Jeanne Villepreux individuò il maschio della specie, il quale non era mai stato descritto. Ma non è tutto su questa straordinaria ricercatrice, sviluppò i principi di acquacoltura sostenibile in Sicilia; fu la prima donna membro dell'Accademia Gioenia di Catania e un membro corrispondente della London Zoological Society e di 16 altre società. Nel 1997, le venne intestato un cratere di Venere scoperto dalla sonda Magellano e nel 2022 la città di Messina le ha intitolato l'acquario comunale.
Un’altra figura femminile di spicco che nel secolo scorso ha dato un contributo fondamentale nel campo della biologia marina è Rachel Louise Carson (Springdale, 27 maggio 1907-Silver Spring, 14 aprile 1964). Seconda donna assunta a tempo indeterminato dal Dipartimento statunitense per la pesca, nel 1941 pubblicò “Under the sea wind”, nel quale descrisse il comportamento degli organismi che vivono sia sul mare che nel mare lungo la costa atlantica. Il successo di questa pubblicazione si deve anche all’originale forma narrativa, infatti nella prima sezione l’autrice presenta le vicende di una femmina di piovanello (piccolo uccello trampoliere) che Carson chiama Silverbar; nella seconda, The Gull's Way, il protagonista è uno sgombro di nome Scomber, e nella terza sezione, River and Sea, si segue Anguilla, un'anguilla appunto. Vengono così ripercorse le abitudini migratorie di queste creature nell'arco di un anno.
Sylvia Earle nella Jim Suite
A seguito del successo di questa pubblicazione, la Carson nel 1949 divenne editore capo delle pubblicazioni del Dipartimento (trasformato nel Servizio pesca e natura). Tra le sue numerose pubblicazioni figura anche “The Sea Around Us”, in cui la poesia del mare e la scienza si fondono, testo premiato con il National Book Award per la saggistica e la John Borroughs Medal per la scrittura della natura. Rimasto nell'elenco dei best seller del New York Times per 86 settimane, venne tradotto in 28 lingue. È doveroso ricordare il suo libro “The Silent Spring”, manifesto antesignano del movimento ambientalista che mostra su basi scientifiche i danni irreversibili del DDT e dei fitofarmaci sia sull'ambiente sia sugli esseri umani, pubblicazione per la quale la Carson è nota ai più.
Indubbiamente da ricordare è poi “The Shark Lady”, come è popolarmente conosciuta Eugenie Clark (New York, 4 maggio 1922-Sarasota, 25 febbraio 2015), zoologa, famosa soprattutto per le sue ricerche sulla riproduzione e il comportamento degli squali, a cui insegnò in cattività a compiere determinate azioni, come ad esempio premere un pulsante col muso in cambio di una ricompensa.
Pioniera nel campo delle immersioni subacquee a fini di ricerca, cercò di frequentare la scuola di specializzazione alla Columbia University, ma la sua domanda fu respinta per paura che alla fine scegliesse di lasciare la sua carriera scientifica per dedicarsi alla vita famigliare. Tuttavia, la Clark nel 1946 conseguì il Master of Arts e nel 1950 un dottorato in filosofia presso la New York University. Svolse ricerche presso i più prestigiosi istituti di biologia marina statunitensi; condusse studi sulla popolazione ittica a Guam, nelle Isole Marshall, nelle Isole Palau, nelle Marianne settentrionali e nelle Isole Caroline nonché presso la stazione di biologia marina di Hurghada, nel Mar Rosso, grazie a una borsa di studio Fulbright conseguita nel 1950. Queste esperienze di studio sono riportate nella pubblicazione “Lady with a Spear” del 1953. Nel 1955, venne costruito un laboratorio proprio per lei in Florida, presso cui si recarono ricercatori provenienti da tutto il mondo compresa Sylvia Earle di cui ora tratteremo. In Florida, presso il Mote Marine Laboratoy (attuale nome del laboratorio), rimase come Senior Scientist, Director Emerita e Trustee fino alla sua morte. Insignita di lauree honoris causa, di prestigiosi riconoscimenti, diverse specie di pesci sono state nominate in suo onore come Squalus clarkae, noto anche come “pesce cane di Genie”.
Passiamo ora a “sua profondità”, come il New York Times soprannominò Sylvia Earle (Gibbstown, 30 agosto 1935), oceanografa di fama mondiale, ingegnere e biologa marina con un dottorato di ricerca sulle alghe. La Earle è stata una delle prime donne a immergersi con le bombole, fondatrice di diverse associazioni per la salvaguardia degli oceani ed esploratrice per la National Geographic Society. Nel 1964 partecipò, unica donna con 70 uomini, a una spedizione per esplorare l’Oceano Indiano tra Seichelles, Aldabra e Zanzibar. Per sua stessa ammissione, per partecipare alla suddetta spedizione, dovette “lottare” molto. Ma ormai il ghiaccio era stato rotto e nel 1970 prese parte al progetto “Tektite II”, come capo spedizione di un equipaggio tutto al femminile, assieme ad altre quattro scienziate. Vissero per due settimane in uno speciale studio sottomarino, a 15 metri di profondità, svolgendo esperimenti e ricerche sulla flora marina. Fu la prima volta che le donne presero parte a un simile progetto. Ormai, la Earle viaggiava, “nuotava” dovremmo dire, spedita e collezionò un record dopo l’altro. In solitaria, nel sommergibile monoposto da lei co-progettato, toccò i 1.000 metri di profondità nelle acque delle Bahamas. Nel 1979, presso le Hawai, all'interno di una Jim Suit, camminò sul fondo a una profondità di -381 m, stabilendo il record di massima profondità raggiunta da un essere umano senza l'ausilio di un sommergibile. Per i non addetti ai lavori, la Jim Suit è una muta progettata per mantenere al suo interno la pressione di una atmosfera (equivalente a quella atmosferica) indipendentemente dalla pressione esterna; in tal modo si eliminano la maggior parte dei problemi fisiologici associati alle immersioni profonde, come la narcosi da azoto.
Ha guidato più di 100 spedizioni; ha circa 7.000 ore di immersione al suo attivo; ha fondato diverse associazioni per la tutela degli oceani. Ma l’infaticabile scienziata non si è fermata qui. Ha fatto includere gli oceani in Google Earth 5.0. La Earle ha al suo attivo oltre 150 pubblicazioni scientifiche oltre a numerosi libri di carattere divulgativo anche per bambini; 15 titoli accademici ad honorem nonché moltissimi riconoscimenti. Nel 2019 in Italia è stata insignita del “Tridente d’oro”, il più alto riconoscimento mondiale per l'eccellenza in attività meritorie nei vari settori della subacquea, assegnato ogni anno, dal 1960, dall'Accademia internazionale di scienze e tecnologie subacquee, una sorta di Nobel nel campo. A 89 anni continua infaticabile la sua campagna di sensibilizzazione sulla necessità di proteggere gli oceani; il suo motto è “L’oceano è la pietra angolare del sistema di supporto vitale della Terra. Senza il blu, non c'è il verde. Niente oceano, niente vita”.