Focus: Facciamo il punto

Quelle macchioline della pelle da non sottovalutare

Neo
di Naomi Di Roberto

Sono molte le persone che presentano nei sulla cute, talora però non si tratta di macchie innocue ma di melanomi. Questa forma di tumore costituisce in Italia una delle forme di cancro più frequenti, come spiega Giuseppe Palmieri dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Cnr

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I nei, macchie della pelle dovute all’accumulo di melanociti, sono manifestazioni fisiologiche e, nella maggior parte dei casi, sono formazioni benigne. Talvolta però possono risultare pericolosi, dal momento che un neo preesistente può evolvere in un melanoma, un tumore cutaneo piuttosto comune. Il melanoma può, però, anche svilupparsi in maniera totalmente spontanea e apparentemente innocua, senza destare particolari sospetti, in quanto molto simile a puntini preesistenti sulla cute sana della persona. Vediamo meglio cosa sono questi piccoli punti del nostro corpo. “I melanociti sono cellule distribuite nello strato più profondo della cute e producono la melanina, che ha una funzione protettiva nei confronti dei danni causati dalle radiazioni ultraviolette (UV). Sono generalmente presenti come cellule singole nella cute normale, ma a volte proliferano e si aggregano, formando nidi cellulari detti nevi o nei, che hanno l’aspetto di macchie di colore scuro, fino al nerastro o, più frequentemente, variabile dal marrone scuro al rossastro”, spiega Giuseppe Palmieri, ricercatore associato dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica (Irgb) del Cnr. “Nei soggetti mediterranei la melanina è di colore bruno, in quelli chiari è di colore rosso e il livello di protezione dai raggi UV è diverso in base al fototipo, risultando più basso nei soggetti con fototipo più chiaro di tipo I o II: colore rosso o chiaro dei capelli, occhi chiari, pelle chiara, presenza di numerose lentiggini”.

Questi puntini della pelle possono, come detto, assumere carattere maligno. “La trasformazione maligna dei melanociti - presenti oltre che nello strato più profondo dell’epidermide anche in sedi extracutanee, come per esempio le mucose del cavo orale e del tratto gastroenterico, le mucose genitali o l’occhio - conduce allo sviluppo del melanoma maligno, che presenta maggiore incidenza nella razza caucasica della popolazione occidentale”, aggiunge il ricercatore del Cnr-Irgb. Si tratta di uno dei principali tumori, che insorge in giovane età e che nella popolazione italiana costituisce la seconda forma di tumore più frequente nei maschi sotto i 50 anni e il terzo più frequente nelle femmine sotto i 50 anni.

Lentiggini

Diversi sono i fattori di rischio. “In letteratura, dati sempre più consistenti evidenziano una correlazione tra esposizione a derivati del petrolio e del benzene e sviluppo di melanoma, specialmente in particolari luoghi di lavoro e in sedi anatomiche mai esposte al sole, come la pianta dei piedi, le mucose interne, il cavo orale e sedi genitali”, continua Palmieri. “In Italia, dati recenti hanno evidenziato un notevole aumento di incidenza del melanoma maligno (+24% negli uomini e +14% nelle donne) nella popolazione residente nelle aree in prossimità di fonti di emissione/rilascio di inquinanti ambientali, prodotti da industrie chimiche e petrolchimiche, centrali elettriche, acciaierie, miniere e/o cave, aree portuali, discariche e inceneritori”.

Anche la dieta potrebbe avere un ruolo nel rischio di sviluppare il melanoma. “Il consumo di caffè, tè verde, pomodori o broccoli sembra ridurre l’incidenza della malattia”, precisa l’esperto.

Per riconoscere una lesione meritevole di approfondimento dal punto di vista medico viene utilizzato il sistema ABCDE : asimmetria, bordi irregolari, colore irregolare, dimensioni (diametro > 6mm), evoluzione nel tempo di colore e forma. “Un altro indicatore clinico utilizzato per il riconoscimento dei melanomi è il segno del ‘brutto anatroccolo’, ossia un neo con caratteristiche diverse rispetto agli altri presenti nello stesso individuo, particolarità che rende più elevata la possibilità che sia un potenziale melanoma”, conclude Palmieri.

Fonte: Giuseppe Palmieri, Istituto di ricerca di genetica e biomedica, giuseppe.palmieri@cnr.it

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