Editoriale

La sintesi necessaria

Viene quasi da sorridere, pensando a queste cifre e dimensioni, quando si guarda al dibattito italiano sulla ricerca scientifica. E viene da concludere immediatamente che, quanto meno in questo settore, non ci sia salvezza fuori dall'Europa e dalla costruzione di un'area coordinata, che consenta ai ricercatori comunitari di competere con quelli asiatici, americani e del resto del mondo. E, soprattutto, di diventare, come i loro colleghi, il motore effettivo dello sviluppo socio-economico. Una valutazione pe
di Marco Ferrazzoli

Maggiori investimenti, che ci stacchino dalla posizione di coda tra i paesi industrializzati, sono necessari alla ricerca italiana, a cui è però anche indispensabile un coordinamento delle politiche e dei finanziamenti, in autonomia rispetto alla pubblica amministrazione. Altrimenti non potremo partecipare pienamente all'area della ricerca europea, obiettivo ineludibile per competere coi giganti asiatici e internazionali

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Si è appena recata alle urne l'India, la più popolosa democrazia del mondo, che pur tra molte contraddizioni conta una classe media di oltre 250 milioni di persone e aree a fortissima vocazione tecnologica, come quella di Bangalore, che reclamano aggiornamenti del sistema politico e sociale adeguati all'innovazione, richiesti anche dagli utenti della Rete: ben 100 milioni, nel paese, solo gli iscritti a Facebook. Scenario per certi versi simile quello della Cina, della quale è stato di recente sancito il primato di maggior economia mondiale, strappato agli Usa e ottenuto, anche in questo caso, grazie al supporto fondamentale della tecnologia e della ricerca.

Viene quasi da sorridere, pensando a queste cifre e dimensioni, quando si guarda al dibattito italiano sulla ricerca scientifica. E viene da concludere immediatamente che, quanto meno in questo settore, non ci sia salvezza fuori dall'Europa e dalla costruzione di un'area coordinata, che consenta ai ricercatori comunitari di competere con quelli asiatici, americani e del resto del mondo. E, soprattutto, di diventare, come i loro colleghi, il motore effettivo dello sviluppo socio-economico. Una valutazione persino banale, che però deve fare i conti con un 'euro-scetticismo' diffuso, non privo di giustificazioni ma che rischia di acuirsi demagogicamente e dannosamente in questo periodo di campagna elettorale.

Detto ciò, un miglior coordinamento e un maggior sostegno alla ricerca italiana restano indispensabili, anche come premessa della nostra partecipazione paritaria all'area europea. In questo periodo si dibatte soprattutto di un'ipotesi di riorganizzazione del comparto che prevedrebbe anche l'accorpamento degli enti pubblici di ricerca. Un principio e un obiettivo che devono fare i conti con alcune oggettive condizioni di pesante sfavore, la cui risoluzione è premessa per qualunque riforma. Il presidente del Cnr, Luigi Nicolais, le ha ricordate e illustrate in una sua recente audizione al Senato: finanziamenti, “vera spina nel fianco”, che pongono l'Italia in coda ai principali paesi industriali; inquadramento giuridico dei ricercatori differenziato tra enti, università e privato; mancanza di un sistema nazionale e di governance degli enti.

Gli ultimi due punti sono stati già affrontati dagli ultimi due ministri dell'Istruzione, università e ricerca. Maria Chiara Carrozza aveva parlato della costituzione di un sistema della ricerca nella sua relazione programmatica; l'attuale titolare del dicastero, Stefania Giannini, ha esplicitato l'intenzione di dare ai ricercatori “nuove regole slegate da quelle della pubblica amministrazione”.

Due concetti che Nicolais ha così articolato: oggi la definizione delle politiche della ricerca e la gestione degli strumenti di finanziamento sono confuse tra diversi ministeri, mentre servono un centro di definizione a livello governativo e un'agenzia di finanziamento che consentano la necessaria sintesi; analogamente, a livello di realizzazione delle attività, occorre un sistema accademico e di ricerca con “poche chiare ripartizioni, che eviti inutili duplicazioni”.

La ricercatrice e senatrice a vita Elena Cattaneo ha chiesto di prendere in esame la possibilità che “il nuovo Senato sia composto anche da figure d'eccellenza negli specifici settori”. Indipendentemente da quest'ipotesi, contiamo che gli attuali parlamentari 'generici' comprendano le esigenze e accolgano le richieste di un comparto che, nell'attuale situazione, è costretto a limitare drasticamente il contributo che potrebbe portare al Paese e ai cittadini.