Editoriale

Tutto cambi, ma non a spese mie

Per certi versi, non cambia nulla. Un italiano su due non è in grado di rispondere a tre domande di cultura scientifica - il Sole è una stella o un pianeta? A cosa servono gli antibiotici? Chi è più piccolo tra atomi ed elettroni? - e più o meno le percentuali dall'annuario 'Scienza e società 2012' ricalcano quelle dei rilevamenti precedenti.  Per altri versi, la situazione sembra mutare in modo non rassicurante: Observa-Science in society attesta una diminuzione dell'interesse per l'informazione scientific
di Marco Ferrazzoli

Poco informati su scienza e tecnologia, esprimiamo pareri estemporanei sui temi che la cronaca rende 'di moda'. È anche l'effetto dello spostamento dai mass media tradizionali alle nuove piattaforme interattive, un processo che va governato a tutela soprattutto degli utenti meno provveduti come i giovani. Una sfida impegnativa per chi opera nella comunicazione, specie nell'ambito della ricerca

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Di fronte a questo quadro si riscontrano spesso due reazioni estreme. Da una parte, la frenesia con cui ogni novità tecnologica viene propagandata come una nuova 'tendenza' di costume da seguire ha un evidente intento pubblicitario e rischia di accentuare la deriva consumistica con cui soprattutto noi italiani talvolta ci rapportiamo all'innovazione. Dall'altra, la difesa pregiudiziale dei media tradizionali sostenuta da alcuni operatori del giornalismo e dell'editoria è improbabile e improponibile: la denu

Per certi versi, non cambia nulla. Un italiano su due non è in grado di rispondere a tre domande di cultura scientifica - il Sole è una stella o un pianeta? A cosa servono gli antibiotici? Chi è più piccolo tra atomi ed elettroni? - e più o meno le percentuali dall'annuario 'Scienza e società 2012' ricalcano quelle dei rilevamenti precedenti.

Per altri versi, la situazione sembra mutare in modo non rassicurante: Observa-Science in society attesta una diminuzione dell'interesse per l'informazione scientifica intercettata attraverso i mass media e anche le forme di divulgazione diretta, con uno spostamento verso i quotidiani e verso il web. La migrazione della comunicazione su internet e in particolare sui social network del resto è un dato ormai scontato per qualunque argomento, dopo che il 2.0 ha rivoluzionato la rete all'insegna dell'interattività, abbattendo il muro tra fornitori e fruitori e ampliando a dismisura la quantità di contenuti disponibili.

Di fronte a questo quadro si riscontrano spesso due reazioni estreme. Da una parte, la frenesia con cui ogni novità tecnologica viene propagandata come una nuova 'tendenza' di costume da seguire ha un evidente intento pubblicitario e rischia di accentuare la deriva consumistica con cui soprattutto noi italiani talvolta ci rapportiamo all'innovazione. Dall'altra, la difesa pregiudiziale dei media tradizionali sostenuta da alcuni operatori del giornalismo e dell'editoria è improbabile e improponibile: la denuncia di una web tv per esercizio abusivo della professione giornalistica in quanto non testata registrata, la polemica contro le rassegne stampa on line per lesione del copyright e quella contro la campagna di reclutamento di video maker di Repubblica.it - per stare alla cronaca più recente - pongono questioni senz'altro rilevanti e partono da principi teoricamente giustissimi, ma sanno anche di arroccamento corporativo.

Il compito dei mediatori a questo punto è aiutare soprattutto gli utenti più voraci, onnivori e impreparati come i giovani a discriminare, ha avvertito giustamente Silvia Calandrelli, direttore di Rai Educational, che nei giorni scorsi ha firmato con il ministro dell'Istruzione Francesco Profumo un accordo per Rai Scuola, piattaforma cross mediale di formazione e informazione.

Chi si occupa di divulgazione della ricerca, di mestiere o per vocazione, ha l'obbligo di tenere conto della situazione per cercare di governarla. La sicumera con cui riteniamo di essere informati su un tema solo perché 'va di moda' e i media ne danno notizia in modo alluvionale, inondandoci di prime pagine, tg e web, è frutto di un'illusione pericolosa, poiché ci espone a giudizi affrettati, legittimi per la 'democrazia delle opinioni' ma che su temi delicati e complicati come quelli della scienza e della tecnologia hanno un valore relativo. Tant'è che oggi ci sentiamo più 'preparati' sul cambiamento climatico e sulle energie alternative che sul testamento biologico, tema che la cronaca non illumina più come ai tempi del 'caso Englaro' (13% in meno di persone che si dicono informate nell'arco di due anni).

A questo punto non meraviglia che permangano nelle risposte ai rilevatori di Observa contraddizioni come quella tra la fiducia nella ricerca quale chiave di conoscenza e motore di miglioramento della nostra vita e la preoccupazione per le conseguenze che da essa derivano sul piano ambientale e anche morale. L'aumento progressivo di persone che auspicano investimenti nel settore, pertanto, conforta ma non più di tanto: è forte il dubbio che si tratti di buone intenzioni non suffragate da una coscienza adeguata e profonda, per esempio in merito a quanto il maggiore sforzo dipenda dall'impegno di noi tutti.

L'entusiasmo per le energie rinnovabili, per esempio, andrebbe commisurato con l'effettiva disponibilità a sostenerne i costi economici, ancora molto ingenti, e con l'impatto pratico che alcune tecnologie comportano. Altrimenti il rischio è quello della sindrome Nimby: fatelo pure, ma nel giardino e a spese di qualcun altro.