Irpinia, la peggior catastrofe repubblicana
Dopo quel 23 novembre del 1980 tutto cambiò, anche nella gestione delle emergenze territoriali. Un libro di Toni Ricciardi, Generoso Picone e Luigi Fiorentino dedicato al quarantennale del sisma ne evidenzia la natura di spartiacque, per il Sud e per le forme del ricordo culturale. L'evento fu “un vero e proprio mito fondativo” e il catalizzatore di una repentina accelerazione della modernità
“Tremila morti novemila feriti e oltre trecentomila senzatetto fanno del terremoto dell'Irpinia l'evento più catastrofico della storia repubblicana. Dopo quel 23 novembre del 1980 tutto cambiò anche in materia di gestione delle emergenze territoriali”. Il libro a sei mani di Toni Ricciardi, Generoso Picone e Luigi Fiorentino, dedicato al quarantennale del sisma, è un buon esempio di un genere editoriale poco apprezzato in Italia, quello delle collettanee che non si risolvono nella mera giustapposizione dei contributi autorali, come talvolta capita nella pubblicazione degli atti di convegni, ma in una sinergia organica.
Del resto quell'evento catastrofico fu davvero uno spartiacque, per il Sud, per la gestione delle molte realtà territoriali a rischio del nostro Paese, per le forme del ricordo culturale. Guardando indietro non si può non constatare che i territori dell'Irpinia e del Mezzogiorno colpiti erano già stati epicentri di diverse altre scosse dannose anche recenti, dunque l'evento era tutt'altro che imprevedibile. Guardando avanti, nel 1980 appariva maturo il processo evolutivo che, dopo la lunga fase dell'emigrazione, portava a rivalutare le risorse locali anche dal punto di vista delle opportunità lavorative ed economiche (tra le fonti citate al riguardo, i ricercatori del Cnr Michele Colucci e Corrado Bonifazi). Basti pensare che tra il 1970 e il 1978 nella sola provincia di Avellino furono accese 12.000 nuove utenze elettriche: l'emigrazione alla metà degli anni settanta stava volgendo comunque al termine. I saldi migratori per la prima volta dal secondo dopoguerra propendevano a favore dei rientri rispetto alle partenze.
Il terremoto diviene così - scrivono efficacemente gli autori - “un vero e proprio mito fondativo” e il catalizzatore di una “repentina accelerazione del tempo della Modernità”, quella che sarebbe passata alla storia come l'epoca della “Milano da bere”. Certamente il terremoto irpino non si può ridurre alla sociologia, pure corretta, il dramma umano fu devastante anche solo per quanti ne furono spettatori. Le “bare accatastate nel cimitero di Sant'Angelo dei Lombardi” non possono non ricordarci quelle che abbiamo un anno fa visto portare via dai camion dell'esercito. Con la differenza che, mentre il virus ha una dimensione globale, per quelle del 1980 il sentimento di rabbia e disperazione era molto più cocente e fisicamente localizzato. E la ricostruzione non servì a sanarlo ma semmai a sedarlo con lo straniamento, il disorientamento, lo sradicamento: ne “L'opera di ricostruzione tra impegno civile e luoghi comuni”, Luigi Fiorentino parla di “chiese come astronavi e municipi come bunker”, di edifici “orribili e per la gente questo significa una cosa sola: “Dio e lo Stato sono diventati estranei”.
Non a caso gli autori citano Pier Paolo Pasolini, tra i più lucidi critici della modernità intrisa di piatto nichilismo che avanzava già da decenni nel nostro Paese, come in altri, e specialmente nelle aree con maggiore radicamento tradizionale. Sul piano materiale, bastino alcune cifre a dare la misura: gli interventi di ricostruzione hanno riguardato 157.499 unità immobiliari e circa mezzo milione di persone, con un contributo medio pari a 43,7 milioni di lire nel periodo 1981-'89 che nel primo semestre del 1990 sarebbe cresciuto a ben 124 milioni.
Una cementificazione che ha contribuito solo in parte a migliorare le condizioni di vita della popolazione. “Grazie alla nuova rete stradale si è risolta in parte l'emarginazione fisica di molti paesi”, ma “sono sorti pochi insediamenti produttivi” e all'iniziale “crescita occupazionale grazie ai contributi statali a fondo perduto”, in un arco di tempo sostanzialmente breve ha fatto seguito “la chiusura repentina” delle nuove attività, “peraltro estranee alla cultura dei luoghi”. L'identità di alcuni territori è così andata perduta.
titolo: Il terremoto dell'Irpinia
categoria: Saggi
autore/i: Ricciardi Toni, Picone Generoso , Fiorentino Luigi
editore: Donzelli
pagine: 200
prezzo: € 23.00