Ma quanto sei antico?
I ricercatori dell'Istituto di scienze per il patrimonio culturale del Cnr, attraverso il radiocarbonio, datano campioni organici preistorici per ricostruire gli spostamenti di gruppi umani, risorse e materiali nell'Africa mediterranea e nell'area balcanica. Grazie alla dendrocronologia svelata l'età di una palafitta in un sito albanese del III millennio a.C. Con le tecniche spettroscopiche individuati pigmenti del '900 in opere ritenute precedenti
Come e quando siano avvenuti spostamenti di gruppi umani, risorse e manufatti nel passato è uno dei temi di maggiore fascino nella moderna ricerca archeologica. Un progetto coordinato da Giulio Lucarini, ricercatore presso l'Istituto di scienze del patrimonio culturale (Ispc) del Consiglio Nazionale delle Ricerche e da Cyprian Broodbank, University of Cambridge, ha ricostruito con estrema precisione le dinamiche di popolamento relative alla tarda preistoria dell'Africa mediterranea, anche attraverso l'analisi delle datazioni al radiocarbonio provenienti dai siti olocenici nordafricani disponibili in letteratura.
Per la prima volta, queste date sono state registrate associandole a marcatori culturali ed economici chiave, come particolari specie animali o vegetali domestiche o selvatiche. Ne è scaturito MedAfriCarbon, un database associato a una web app con interfaccia cartografica, che permette di esplorare liberamente l'area e le informazioni a essa connesse.
Il lavoro certosino è stato realizzato nell'ambito del progetto di ricerca “MedAfrica: Archaeological deep history and dynamics of Mediterranean Africa ca. 9600-700B”, finanziato dalla Leverhulme Trust e diretto da Cyprian Broodbank (University of Cambridge). Per periodi antichi fino a circa 50.000 anni fa, il metodo del radiocarbonio o carbonio 14 permette ottimi risultati nella determinazione dell'età dei campioni organici. “L'attendibilità di tale metodo è dovuta al fatto che, alla morte dell'organismo vivente (animale o pianta), il contributo dell'isotopo radioattivo del carbonio, il carbonio 14, che quell'essere riceveva, finché in vita, dall'atmosfera, improvvisamente cessa ed essendo la sua velocità di decadimento costante, la quantità rimasta può essere calcolata con estrema precisione”, spiega Giulio Lucarini. “Determinando, con opportune tecniche di analisi, la percentuale di carbonio 14 ancora presente in un campione si può, quindi, risalire alla sua età. Dall'analisi delle 1587 date disponibili, provenienti da 386 siti archeologici, tutte confluite nel database, è nata la prima sintesi globale, empirica e interpretativa delle dinamiche sociali ed economiche a lungo termine che hanno caratterizzato l'Africa mediterranea tra gli inizi dell'Olocene (circa 9600 a.C.) e l'arrivo di Fenici e Greci (800-600 a.C.)”.
Grazie a questo database è stato possibile, ad esempio, ricostruire la cronologia (VI-V millennio a.C.) relativa all'arrivo in Africa, attraverso il Sinai e la Penisola Iberica, delle prime specie domestiche (bovini, caprini, suini, cereali e legumi) vicino orientali e le traiettorie di dispersione di tali specie nelle regioni nordafricane. “Ampi set di date al radiocarbonio, quando opportunamente calibrate e aggregate, sono usate anche per determinare fluttuazioni demografiche a lungo termine nel passato”, conclude Lucarini.
Nell'area dei Balcani si è invece concentrato lo sguardo di Maja Gori, anche lei ricercatrice del Cnr-Ispc, che ha coordinato insieme ad Aleksandar Bulatovic (Istituto di archeologia di Belgrado) e a Marc Vander Linden (Università di Bournemouth) il progetto “Rewriting early Bronze Age chronology in the southwestern Balkans: evidence from large-scale radiocarbon dating”, finanziato dalla Fritz Thyssen Foundation. La ricerca, condotta impiegando il radiocarbonio, ha consentito per la prima volta di produrre una sequenza cronologica dell'antica età del Bronzo (ora correttamente datata al III mill. a.C.) nei Balcani centrali basata su datazioni assolute. “Nei Balcani, l'identificazione delle interazioni tra gruppi locali e quelli dell'Europa centrale da un lato e quelli eurasiatici dall'altro, e la loro successione temporale si appoggiavano esclusivamente sull'analisi tipologica dei reperti ceramici, con risultati imprecisi e incerti. Questo aspetto è particolarmente rilevante nel quadro degli studi sulle migrazioni dalle steppe verso l'Europa (cultura cosiddetta di Yamnaya) che sono state recentemente identificate attraverso l'analisi dell'DNA antico. Grazie a questo progetto, abbiamo ottenuto delle date assolute che hanno consentito di stabilire con maggiore chiarezza le relazioni cronologiche tra i diversi gruppi di popolazioni”, dichiara Maja Gori. “Inoltre, combinando le analisi del radiocarbonio con quelle dendrocronologiche eseguite su una palafitta preistorica nell'Albania meridionale (sito di Sovjan) siamo riusciti a calibrare con precisione la sequenza che copre la seconda metà del III millennio a.C.".
Lo sviluppo tecnologico oggi offre numerosi strumenti e metodologie di indagine nel settore delle scienze umane, non solo per l'analisi dei campioni organici molto antichi, ma anche per datare manufatti più recenti, come nel caso di dipinti di età contemporanea. La caratterizzazione dei materiali si avvale di tecniche spettroscopiche molto sofisticate. L'esame di alcuni pigmenti può circoscrivere l'opera in un periodo storico, confermare un'attribuzione incerta o l'estraneità dell'opera al contesto in cui si suppone sia stata realizzata. “Un esempio per tutti è l'uso del bianco a base di biossido di titanio, un buon marcatore temporale poiché la sua produzione su vasta scala avviene negli anni 20 del 1900 e la sua presenza diffusa su un dipinto del 1600 non è giustificata in alcun modo se non come ridipintura (nel caso di un restauro) oppure di una falsificazione”, spiega David Buti del Cnr-Ispc. “Spesso il titanio è usato come indicatore per identificare i falsi di Modigliani, pittore morto nel 1920, prima della produzione su vasta scala del pigmento". L'utilizzo del blu Maya è un altro esempio che si presta a indagini accurate. “Nell'osservare due codici precolombiani custoditi nella Biblioteca Vaticana, abbiamo riscontrato, in aree in cui supponevamo l'impiego di questo colore, la presenza di blu di Prussia e blu di Thenard: il primo scoperto e commercializzato a partire dagli inizi del 1800, il secondo sintetizzato nel 1804. È chiaro che la presenza di tali pigmenti non è compatibile con codici creati in Mesoamerica nel 1500, tant'è che questi colori sono stati riscontrati in piccole aree restaurate”. In tal caso le tecnologie hanno permesso uno sguardo più profondo sulle opere.
Fonte: David Buti, Istituto di scienze del patrimonio culturale , email david.buti@ispc.cnr.it - Maja Gori, Istituto di scienze del patrimonio culturale , email maja.gori@cnr.it - Giulio Lucarini, Istituto di scienze del patrimonio culturale , email giulio.lucarini@cnr.it -