Il genere è importante. Anche in medicina
Le diversità che caratterizzano uomini e donne a livello fisiologico, oltre a differenziare esteriormente i due sessi, comportano difformità anche a livello biologico, con conseguenze che si manifestano ad esempio nella reazione a sostanze tossiche come il fumo delle sigarette, ma anche nella risposta alle terapie farmacologiche, come spiega Vito Michele Fazio, direttore dell’Istituto di farmacologia traslazionale
Sempre di più ai giorni nostri si parla di medicina di genere, anche perché sempre di più aumenta la consapevolezza che ci sono differenze dal punto di vista biologico e fisiologico tra i due sessi, per esempio nel metabolismo, nell’invecchiamento, nel sistema immunitario. Per molto tempo invece il corpo femminile è stato visto come una “variante” di quello maschile e questo ha portato a non considerare adeguatamente le disuguaglianze nel modo in cui uomini e donne assorbono ed eliminano un farmaco o la modalità in cui il medicinale agisce sull’organismo. Solo negli ultimi anni c’è stata una presa di coscienza globale delle differenze di genere e delle conseguenze che queste comportano, come evidenzia Vito Michele Fazio, direttore dell’Istituto di farmacologia traslazionale (Ift) del Consiglio nazionale delle ricerche: “Anche quando sono esposti allo stesso modo a un rischio o a una malattia le conseguenze sulla salute possono essere diverse nei due sessi. Ad esempio, tra gli uomini e le donne che fumano tabacco, le donne sembrano sviluppare una grave forma ostruttiva cronica polmonare in età più giovane rispetto agli uomini e con minore esposizione al fumo di sigaretta. D’altra parte, alcuni recenti studi incentrati sulle donne hanno dimostrato anche scarsa efficacia dell’uso dell’aspirina a bassa dose nel prevenire infarto e mortalità cardiovascolare. A parità di esposizione le donne possono avere quindi risposte diverse da quelle degli uomini perché alcuni parametri fisiologici, quali altezza, peso, percentuale di massa magra e grassa, quantità di acqua, pH gastrico, sono differenti e influenzano l’assorbimento dei tossici e dei farmaci, la loro successiva eliminazione (farmacocinetica) e il loro meccanismo di azione (farmacodinamica)”.
Già dagli anni ’80 in realtà grandi organizzazioni internazionali, quali la Food and Drug Administration (Fda), l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu), hanno maturato una maggiore attenzione verso nuove strategie sanitarie preventive, diagnostiche, prognostiche e terapeutiche che tenessero conto delle differenze tra uomini e donne, e anche l’Italia si è mossa. “Nel nostro Paese, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 31/01/2018, viene approvata la legge 3/2018 e per la prima volta in Europa viene garantito che ‘la sperimentazione clinica dei medicinali sia svolta attraverso un'adeguata rappresentatività di genere’ (art.1, comma h, 3) e si sancisce ‘l’Applicazione e diffusione della Medicina di genere nel Servizio sanitario nazionale’ (art.3), per la definizione di percorsi diagnostico-terapeutici nella ricerca scientifica, nella formazione e nella divulgazione a tutti gli operatori sanitari e ai cittadini”, ricorda il direttore del Cnr-Ift. “Nel maggio 2019, poi, diverse commissioni, gruppi di studio e di lavoro e osservatori nazionali vengono coinvolti e coordinati dal Ministero della salute per portare alla pubblicazione del ‘Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di genere’, in attuazione dell’articolo 3, della citata Legge. All’Istituto superiore di sanità (Iss), da una precedente iniziativa, nasce nel 2019 il ‘Centro di riferimento per la medicina di genere’ per il monitoraggio delle azioni e dei risultati ottenuti a livello nazionale attraverso l'istituzione di un osservatorio. L’ISS, insieme agli altri enti vigilati dal Ministero della salute, fungerà da garante dell’attendibilità e dell’appropriatezza dei dati rilevati, che annualmente saranno riportati dal Ministro della salute alle Camere”.
Quanto fin qui detto fa comprendere come l’attenzione alle differenze di genere sia una realtà recente e vada estesa dalle terapie alla sperimentazione e alla somministrazione dei farmaci, considerando anche che - in base a dati Istat del gennaio 2022 - la popolazione italiana è costituita per il 48,7% di uomini e per il 51,3% di donne. “Così come è stato importante adeguare la percentuale di donne arruolate negli studi clinici, è fondamentale anche individuare all’interno della media dei risultati sperimentali di uno studio quello che viene definito il ‘gender bias”, cioè la specificità della differenza dei risultati nei due generi, un aspetto ora in corso di rivalutazione nelle strategie terapeutiche e su cui la scienza sta investendo”, continua Fazio. “Le ormai note differenze uomo-donna nell’affinità tra recettore (struttura cellulare che ha la funzione di riconoscere le molecole diverse e di trasmettere il segnale corrispondente alle cellule) e farmaco, nella densità dei recettori e di taluni enzimi (meccanismi di segnalazione tra cellule e tessuti), nell’ormono-dipendenza e nella struttura dei diversi tessuti stanno influendo nell’interpretazione dei risultati sperimentali e molte aziende farmaceutiche e agenzie regolatorie, come già evidenziato, hanno definito specifici parametri di qualità e di aderenza, anche nella rivalutazione di terapie che erano considerate standard” .
Un’altra frontiera che si sta aprendo è poi quella delle minoranze etniche, come evidenzia il direttore del Cnr-Ift che conclude: “In un mondo ormai globalizzato, le minoranze etniche con il loro profilo genetico e quello conseguente delle diverse abitudini di vita, stili di alimentazione, pratiche voluttuarie, consuetudini di lavoro possono influenzare significativamente la salute e l’effetto dei farmaci. La medicina delle migrazioni è già una realtà, ma la sua applicazione concreta è ancora da costruire”.
Fonte: Vito Michele Fazio, Istituto di farmacologia traslazionale, direttore.ift@ift.cnr.it