Focus: In che senso?

Si fa presto a dire ologramma

Ologramma
di Patrizia Ruscio

L’olografia è una tecnologia ottica di registrazione e riproduzione di immagini tridimensionali basata sull’impiego di luce laser. A spiegare come funziona e la sua utilità nella nostra esistenza quotidiana  è Maria Bondani, ricercatrice dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche

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Dagli anni Settanta in poi, tutti abbiamo immaginato che gli ologrammi fossero le immagini della principessa Leila che chiede aiuto a Obi-Wan Kenobi in "Guerre Stellari". Nel cinema, questa tecnica offre una narrazione fantastica, aprendo le porte a sviluppi inediti ed entusiasmanti come quelli che ritroviamo  nella vita reale, pur essendo molto diversi da ciò che suggerisce l’immaginazione. “L’olografia è sostanzialmente una tecnica fotografica, cioè è un modo per registrare delle informazioni su un oggetto”, spiega Maria Bondani, ricercatrice dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche. “La fotografia convenzionale registra su un supporto bidimensionale solo alcune caratteristiche della luce e restituisce immagini bidimensionali degli oggetti; l’olografia, invece, registra su un supporto bidimensionale, l’ologramma, tutte le informazioni sull’oggetto trasportate dalla luce. Quando l’ologramma viene illuminato, si ottiene un’immagine che gli occhi percepiscono come tridimensionale”. 

L’idea chiave dell’olografia sta nel nome stesso della tecnica, dal greco “oλoς”, tutto, e “γραφη”, scrittura: scrivere e riprodurre tutte le informazioni contenute nella luce diffusa dall’oggetto che vogliamo riprodurre, in maniera che nel momento in cui l’immagine viene generata sia, a tutti gli effetti, identica a quella che verrebbe ricostruita dal nostro apparato visivo osservando l’oggetto originario.  Non tutto quello che viene comunemente chiamato ologramma ha a che fare con l’olografia. “La parola viene spesso abusata per riferirsi a qualsiasi produzione di immagini tridimensionali, dalle immagini stereoscopiche variamente ricostruite con i cosiddetti schermi o visori olografici per la realtà virtuale, a quelle che appaiono fluttuanti in aria perché proiettate su lastre trasparenti o tracciate per punti dai laser”, prosegue l’esperta.

Ologramma

Il principio fisico alla base dell’olografia è l’interferenza, in quanto consente di recuperare tutte le informazioni sul campo che propaga. La registrazione di un ologramma ha bisogno di due fasci di luce che interferiscono tra di loro. L'informazione registrata su una lastra fotografica a grana finissima, chiamata appunto ologramma, è l'interferenza tra due campi alla stessa frequenza: il fronte d'onda diffuso, il campo oggetto,  e un fronte d’onda che non ha interagito con l’oggetto, il campo di riferimento. Gli ologrammi trovano molte applicazioni nella vita di tutti i giorni, nell’arte, ad esempio, danno vita a opere molto belle. Ma si utilizzano anche nel packaging e svolgono un ruolo importante sull’economia globale. “Vengono utilizzati soprattutto nella lotta alla contraffazione, perché contengono tutte le informazioni possibili su un determinato bene di consumo, rendendone impossibile l’imitazione. Se prendiamo, ad esempio, una banconota dai 20 euro in su, si noteranno dei simboli metallizzati dai colori cangianti. Ecco, quelli sono ologrammi”, spiega Bondani.

La ricerca sull’olografia, che ha avuto un grandissimo sviluppo negli anni Sessanta e Settanta contemporaneamente allo sviluppo dei laser, ora è un po’ meno praticata ma è un campo in cui i ricercatori hanno ancora molto da scoprire. “Lo studio delle applicazioni dell’olografia procede e forse gli adolescenti dei nostri giorni avranno modo di sperimentare dal vero ciò che al momento è solo realtà virtuale", conclude la ricercatrice.

Fonte: Maria Bondani, Istituto di fotonica e nanotecnologie, maria.bondani@cnr.it

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