Editoriale: Mission impossible

Impossibile prevedere, necessario mitigare

Immagine numero Mission impossible
di Marco Ferrazzoli

Gli scienziati avvertono: non facciamo previsioni, non ci è dato sapere per certo cosa accadrà in futuro. Per questo è necessario prepararci, tenendo conto degli scenari che i modelli ci indicano e degli inderogabili principi di cautela e di rispetto dell’essere umano e dell’ambiente. La tragedia delle Marche ha dato a questo numero dell’Almanacco sulle “mission impossible” un’attualità che avremmo evitato

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La tragedia delle Marche è l’effetto di un complesso concorso di cause e responsabilità: un territorio (regionale, ma i dati dell’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Cnr e di altre strutture di ricerca dicono con chiarezza che il problema è analogo in tutta Italia) flagellato da calamità naturali; il dissennato sfruttamento dell’ambiente perpetrato a colpi di cementificazioni, impermeabilizzazioni, edificazioni, tombature, asfaltature; l’abbandono delle campagne e l’incuria di terreni e corsi d’acqua; la geografia e l’orografia che rendono il nostro Paese bellissimo ma fragile, avvicinando pericolosamente alture, pianure e mare; la mancata o tardiva realizzazione delle opere che potrebbero proteggerci (lo diciamo a prescindere dalla vicenda specifica, su cui attendiamo che a parlare siano le indagini); l’intensificarsi e l’accavallarsi di fenomeni meteo estremi, che hanno prodotto la successione tra siccità e temporali autorigeneranti; l’insufficiente cultura della prevenzione e della cautela, anche a tutela della nostra incolumità. E la difficoltà di prevedere con sufficiente precisione cosa accadrà, talvolta persino nel breve periodo.

Di tutti i fattori, l’ultimo è quello che accettiamo con maggior difficoltà. Così come per i terremoti o le eruzioni, anche per le alluvioni o le frane possiamo monitorare e inserire gli elementi rilevati nei modelli teorici, ma questo non vuol dire avere certezza del futuro. Soprattutto, non significa sapere cosa potrebbe accadere con la risoluzione spazio-temporale che sarebbe necessaria per adottare misure di protezione civile sicuramente utili nel rapporto costi-benefici. Ce ne accorgiamo anche in situazioni molto meno drammatiche, quando un sindaco deve usare il sale per una nevicata o si deve decidere se chiudere una strada a rischio allagamento. Non possiamo vivere in allerta perenne, certo, ma talvolta tardiamo o sottovalutiamo in modo sciagurato il rischio.

Le Marche sono state colpite da un evento che ricalca lugubremente, peggiorandolo, quello di appena otto anni prima. Ad essere colpite e sfollate sono le stesse case già devastate dall’acqua e dal fango nel 2014 e il bilancio di vittime è purtroppo molto più pesante. Infuria la polemica e procedono le indagini per capire perché le opere di protezione non erano pronte e attive, e se l’allarme avrebbe potuto lanciato più tempestivamente e decisamente. Alcuni morti si sarebbero evitati se fosse più chiara a tutti l'importanza della prima regola prescritta in questa situazione, non scendere mai sotto il livello stradale, magari per recuperare un’autovettura. D’altronde, la repentinità dell’accaduto non ha precedenti, almeno nel periodo recente.

Quanto appaiono oziose e di cattivo gusto ora queste considerazioni, corrette ma troppo facili da sollevare “dopo”, davanti al dolore di chi ha perso i propri cari, davanti allo strazio del papà di Mattia che continua a sperare di rivedere il suo bambino. Francamente, non ci illudiamo di avere finalmente imparato la lezione che non abbiamo appreso dopo tante catastrofi, visto che non abbiamo neppure smesso del tutto di costruire senza rispettare le norme antisismiche o nel mezzo dei compluvi. Se facciamo tanta fatica a comportarci correttamente è perché il nostro cervello di esseri raziocinanti commette due errori gravi: non riesce a investire sulla sicurezza del futuro secondo il “principio di cautela”, facendo cioè ciò che serve quando non ce n’è immediato bisogno, e cerchiamo cause e soluzioni dei problemi dall’alto, in senso metaforico e letterale. La nostra già scarsa attenzione all’ambiente è concentrata su emissioni di gas climalteranti, effetto serra, buco nell’ozono, riscaldamento globale; ma quasi per nulla sulle misure di “mitigazione e adattamento”, cioè quel rapporto rispettoso con la Terra che consentirebbe di ridurre fortemente gli effetti dell’impatto antropico sull’ambiente. In questa distorsione forse anche la ricerca scientifica e chi la comunica, come noi, dovrebbe fare di più e meglio.

Avevamo previsto questo Almanacco della Scienza sulle “missioni impossibili” come un numero di alleggerimento, dedicandolo alle sfide che con le scienze e le tecnologie attuali non riusciamo a vincere, in assoluto o comunque non quanto vorremmo: dissalare il mare per risolvere la crisi idrica, far piovere quando o quanto vorremmo, arrivare al centro della Terra o in fondo agli abissi oceanici, vivere fino e oltre i cent'anni in perfetta salute, debellare moltissime malattie, viaggiare nello spazio-tempo col teletrasporto, sconfiggere definitivamente fame e povertà, anticipare le crisi economiche e, appunto, prevedere terremoti e calamità naturali. La tragedia delle Marche ha dato a questo tema un’attualità che mai avremmo voluto.