Focus: Mediterraneo

Biodiversità: comprenderla per tutelarla

Foresta
di Cristina Rapagnà

Le foreste che interessano il bacino mediterraneo costituiscono un patrimonio di biodiversità, un ecosistema fra i più importanti al mondo in un’area relativamente piccola ma tra le più minacciate e vulnerabili del Pianeta. Bruno de Cinti, dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Cnr, spiega come si monitora e salvaguarda la varietà biologica grazie a due progetti Life

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Il bacino del Mediterraneo è stato definito dalla World Conservation Union (Iucn) come Global biodiversity hotspot. Effettivamente, riesce a ospitare circa il 20% della ricchezza floristica globale, 17.000 specie marine diverse e più di 2.000 specie arboree ogni 15.000 km2 di porzione di macchia, nonostante copra un’area totale pari solo al 2% della superficie terrestre e sia bagnato solo dallo 0,82% di tutte le acque del globo. Questo Eden, caratteristico per clima mite e bio-varietà, subisce perdita di habitat a causa del disturbo antropico e delle conseguenti minacce: incendi, introduzione di specie aliene, inquinamento e soprattutto il progredire del cambiamento climatico.

Per meglio comprendere e contrastare tali fenomeni è di cruciale importanza impostare una rete di monitoraggio che, tramite adeguati indicatori, fornisca la variazione nel tempo degli effetti sugli ecosistemi terrestri di tali disturbi. “Un esempio di tali indicatori è la chimica fogliare, che permette di conoscere la disponibilità di nutrienti per la pianta e, contestualmente, la sua capacità di assorbirli nonché la complessità di alcune comunità animali, quali quelle di insetti, uccelli e pipistrelli”, così Bruno De Cinti, esperto forestale dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri (Iret) del Cnr, introduce uno dei progetti Life (programma dell’Unione Europea dedicato alla salvaguardia dell’ambiente) di cui l’Istituto è partner: il progetto LIFE MODERn-NEC. Coordinato dal Cufaa (Carabinieri forestali), ha come partner il Cnr, il Crea, le Università degli studi di Camerino e di Firenze, lo Spinoff TerraData e Legambiente e nasce a seguito dell’emanazione della Direttiva Europea NEC (National Emissions Ceilings). In questo contesto, il Cnr-Iret si propone di testare nuovi indicatori legati alla biodiversità valutandone l’efficacia, anche in relazione ai disturbi legati all’inquinamento atmosferico. Con la direttiva Nec, infatti, l’Europa stabilisce che è necessario ridurre le emissioni antropogeniche nell’aria e monitorare gli effetti dell’inquinamento e della contaminazione atmosferica anche sugli ecosistemi forestali e acquatici, attraverso una rete di siti di controllo.

“ll macro-obiettivo di LIFE MODERn-NEC è modificare la rete di monitoraggio italiana, adeguandola alle richieste imposte al Paese dalla direttiva NEC e, contestualmente, aumentare il set di indicatori disponibili per il monitoraggio ambientale. Il progetto, inoltre, ha come scopo la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle fonti di inquinamento per la biodiversità, e i loro impatti sull’ambiente.”, continua il ricercatore. “Nel cercare di promuovere il monitoraggio efficacemente e in modo estensivo si deve fare ricorso a indicatori in grado di descrivere situazioni e dinamiche, ma che al tempo stesso siano ‘facili da rilevare’. Nel progetto, per stimare la complessità delle comunità animali, si fa ricorso a registratori che consentono di registrare i richiami e i canti emessi dalla fauna e che permettono di raccogliere contemporaneamente dati in molti luoghi diversi, prescindendo dalla presenza in campo di un esperto per l’osservazione e l’ascolto diretto”.

Locandina del progetto

Un altro LIFE decisamente innovativo è il progetto “LIFESPAN-Saproxylic Habitat Network: pianificazione e gestione perle foreste europee". De Cinti, che ne è il coordinatore, spiega: “I boschi naturali creano al loro interno dinamiche che costituiscono una straordinaria complessità in grado di ospitare innumerevoli organismi, ciascuno dei quali svolge un ruolo ben preciso, che permette a tale ecosistema di reagire costantemente alle sollecitazioni e alle minacce a cui è sottoposto. I disturbi antropici, primo fra tutti i tagli periodici a cui le foreste produttive sono sottoposte, turbano tali equilibri. Questo porta a una riduzione della disponibilità di microhabitat, con una conseguente perdita di biodiversità. Il progetto LIFESPAN, che nelle sue due aree dimostrative include ben sei siti Natura 2000, ha come obiettivo quello di implementare, all’interno di foreste produttive, un sistema economicamente sostenibile, quindi realmente applicabile, mirato alla salvaguardia della biodiversità tutta, usando come ‘innesco’ i saproxilici, ovvero quegli organismi che in almeno uno stadio della loro esistenza sono legati alla presenza di legno morto”.

L’assenza di legno morto si è stimato che riduca di ben il 30% la biodiversità forestale. L’idea della proposta trae spunto dai problemi che effettivamente diminuiscono la biodiversità forestale quali: la scarsità di legno morto; la carenza di radure nel bosco, importanti per le fioriture, i cicli degli insetti e la vita sociale degli animali superiori; la carenza dei grandi alberi secolari che creano strutture complesse in cui parti vive e parti morte coesistono andando a creare una moltitudine di habitat per molteplici organismi, i cosiddetti alberi habitat.

I due siti del progetto sono foreste miste, a prevalenza di faggio in Italia e di quercia in Germania. Sono aree di elevato interesse naturalistico in cui sono presenti 16 specie animali a rischio elencate nella Direttiva Habitat e nella Direttiva Uccelli (ad esempio il picchio rosso mezzano, il picchio cenerino, il cervo volante). Queste, a seguito degli interventi effettuati dal progetto, ne trarranno beneficio incrementando la loro presenza che è già oggetto di monitoraggio da parte del progetto.  “Lo strumento alla base di questo LIFE  è la creazione di una ‘Saproxylic Habitat Network’ (SHN), una rete di aree di circa due ettari dove, mediante interventi mirati si ricrea, artificialmente, una struttura simile a quella delle foreste vetuste. Queste aree, dette Saproxilic Habitat Sites (SHS), vengono arricchite di microhabitat e in breve tempo divengono aree ad alta biodiversità”, conclude l’esperto. “Le due SHN realizzate nei siti dimostrativi italiano e tedesco, costituite da ben 43 SHS, agiranno come serbatoi di biodiversità, nodi di una rete che a seguito dei disturbi (ad esempio i tagli boschivi) faranno ripartire la colonizzazione dei territori d’interesse riportando un elevato tasso di varietà biologica sull’intera area in tempi relativamente brevi. Le foreste dove la metodologia del progetto LIFE SPAN verrà replicata beneficeranno delle SHS in termini di stoccaggio del carbonio, ciclo dei nutrienti e diversità biologica, contribuendo allo stesso tempo alla conservazione della biodiversità, grazie alla creazione di nuovi habitat ed al miglioramento di quelli esistenti”.

Fonte: Bruno de Cinti, Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri, e-mail: bruno.decinti@cnr.it

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