Focus: Mediterraneo

Allarme Medicanes

Meduse
di Rita Bugliosi

Il cambiamento climatico ha conseguenze gravi, che si possono scorgere evidentemente a livello dei mari. Lo conferma quanto sta avvenendo nel Mediterraneo, che registra diversi fenomeni preoccupanti: dall’aumento del livello alla comparsa di specie animali aliene, fino al manifestarsi di cicloni. Ne parlano Sandro Carniel dell’Istituto di scienze polari e Mario Marcello Miglietta dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima

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A partire dalla rivoluzione industriale, si registra un riscaldamento anomalo della Terra provocato dalle attività umane a seguito delle quali sono state riversate in atmosfera quantità inedite di anidride carbonica e di altri gas serra. Tutto questo ha ripercussioni anche sul Mediterraneo, che si riscalda di quasi tre volte in più rispetto alla media dei mari del mondo, con conseguenze molto gravi. “A seguito dell’aumento della loro temperatura le acque del Mediterraneo si sono naturalmente dilatate ed è aumentato il loro livello medio, atteso per il 2100 in crescita di circa 100 cm rispetto a quello di inizio secolo. Un valore enorme, che cambierà le vite di milioni di persone e che, in assenza di specifiche azioni di adattamento, influenzerà infrastrutture costiere, turismo, economia, dettando nuovi flussi migratori”, sottolinea Sandro Carniel, oceanografo dell’Istituto di scienze polari (Isp) del Cnr.

I danni prodotti dalla crescita delle temperature si registrano anche nella biodiversità marina. “Nel bacino mediterraneo sono oramai presenti circa mille specie animali aliene, tipiche delle acque tropicali, a testimonianza di come equilibri ecologici già precari siano stati totalmente destabilizzati”, aggiunge il ricercatore del Cnr-Isp. “Come conseguenza, alcune specie native si spostano in acque più fredde, mentre altre proliferano in modo incontrollato. È il caso delle meduse, aiutate anche da una pesca indiscriminata, che ha ridotto il numero di pesci in grado di limitarne la popolazione e che sovrasfrutta i tre quarti degli stock ittici mediterranei. Per non parlare poi dell’emergere di nuovi patogeni che minacciano le popolazioni coralligene, messe in crisi - come le praterie di Posidonia - anche dalle tempeste marine, che sempre più violente si abbattono sulle coste”.

Ma a minacciare il Mare Nostrum, a seguito del cambiamento climatico, sono anche i cicloni extratropicali. "Tipiche perturbazioni delle medie latitudini, possono occasionalmente raggiungere forti intensità anche nell'area mediterranea, come è accaduto con la tempesta Vaia, che nell’ottobre 2018 ha prodotto venti e precipitazioni estreme nella regione alpina e forti mareggiate nel mar Ligure e in Nord Adriatico, provocando danni per diversi milioni di euro”, spiega Mario Marcello Miglietta dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Isac) del Cnr.  “Inoltre, negli ultimi anni, da quando cioè la disponibilità di osservazioni satellitari è più ampia e dettagliata, sono stati documentati nel Mediterraneo anche diversi casi di vortici atmosferici con caratteristiche simili a quelle dei cicloni tropicali, sia pure di intensità e dimensioni inferiori. I Medicanes (Mediterranean hurricanes-uragani) traggono la loro energia principalmente dal mare, hanno un nucleo caldo negli strati medio-bassi della troposfera e un nucleo centrale, simile all'occhio di un uragano, privo o quasi di nubi, circondato da una spirale di nuvole quasi simmetrica”.

Ciclone

I Medicanes sono per fortuna, eventi piuttosto rari. “In tutto il Mediterraneo se ne osservano mediamente 1-2 ogni anno. Il ciclone Ianos, che ha interessato la Grecia nel settembre 2020, è stato tra i più intensi mai registrati con raffiche di vento sino a 195 km/h e quantità record di precipitazioni accumulate (769 mm in 2 giorni nell’isola di Cefalonia); fenomeni che hanno causato quattro vittime e devastazione nella parte occidentale e centrale della Grecia”, continua il ricercatore del Cnr-Isac. “Nel recente passato, alcuni Medicanes hanno interessato anche l’Italia, in particolare le regioni ioniche: a fine ottobre 2021, il ciclone Apollo ha colpito la Sicilia occidentale, preceduto da venti intensi e forti piogge che hanno provocato due vittime”.

Ma cosa ci aspetta in futuro? “Numerosi studi concordano sul fatto che, a seguito del riscaldamento globale, la frequenza dei Medicanes dovrebbe rimanere costante o decrescere leggermente poiché le condizioni che ne determinano la formazione saranno sfavorite. Tuttavia, le prospettive di riscaldamento del bacino del Mediterraneo, in particolare di un aumento della temperatura della superficie marina, suggeriscono che in futuro i flussi di calore e umidità dal mare verso l’atmosfera saranno più intensi, favorendo lo sviluppo di cicloni di intensità maggiore”, risponde Miglietta. “I modelli di previsione climatica annunciano infatti cicloni più intensi, caratterizzati da venti e precipitazioni più forti e di durata maggiore, con forte impatto sull’ambiente e più importanti conseguenze socio-economiche”.

La situazione del nostro mare è decisamente preoccupante, bisogna quindi fare qualcosa per invertire la rotta. “Impatti e vulnerabilità generano rischio crescente, per il quale non siamo attrezzati, né culturalmente né tecnicamente. Dobbiamo al più presto  ridurre la pressione antropica, aumentare la conoscenza del funzionamento del mare, istituire una rete di aree protette che consentano di fungere da ‘polmoni’ di biodiversità in collegamento tra loro”, conclude Carniel.

Fonte: Sandro Carniel, Istituto di scienze polari, e-mail: sandro.carniel@cnr.it; Mario Marcello Miglietta, Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima, e-mail: m.miglietta@isac.cnr.it