Che aria tira nella navetta?
Al monitoraggio degli inquinanti negli spazi interni dei velivoli e della risposta dell’organismo alla loro esposizione è dedicato uno dei progetti condotti dal Cnr all’interno della navetta Virgin Galactic SpaceShip-2 durante la prossima missione Virtute 1. Ne abbiamo parlato con la responsabile, Francesca Costabile dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) riconosce la qualità dell’aria indoor tra i fattori determinanti la qualità della vita e della salute delle persone, considerato il numero di ore che passiamo confinati all’interno di abitazioni, edifici, mezzi di trasporto. Nel settore dell’aviazione, il monitoraggio è importante per quanto concerne la salute dei passeggeri dei lavoratori. "La contaminazione dell’aria indoor nelle cabine degli aerei è studiata da anni per potenziali danni, sia acuti sia cronici, sul breve e lungo termine”, spiega Francesca Costabile dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Isac) del Cnr, esperto scientifico europeo sul tema e responsabile del monitoraggio dell’aria all’interno della navetta Virgin Galactic SpaceShip-2 durante la prossima missione Virtute 1.
Attraverso un set-up strumentale appositamente progettato per essere trasportato all’interno della navetta, verranno valutate le sorgenti e i livelli delle cosiddette Ufp (particelle ultrafini) e il loro possibile ruolo sulla salute mentale, un aspetto ancora poco investigato. “Particelle ultrafini è una definizione basata solo sulle dimensioni e comprende tutte quelle particelle di aerosol, solide e liquide, con diametro aerodinamico inferiore a 100 nm (nanometri) con proprietà chimico-fisiche quali dimensioni, stato fisico, superficie esposta, forma o distribuzioni dimensionali completamente diverse fra loro”, precisa la ricercatrice. “Da un punto di vista chimico, sono un insieme di composti non omogeneo costituito da Carbonio elementare (Ec), Idrocarburi policlici aromatici (Pah), metalli e altri composti in quantità ridottissime. Le Ufp si originano sia per processi di nucleazione in aria ambiente da precursori allo stato di vapore, sia da processi di combustione. Hanno una massa molto piccola se paragonate al Pm2.5 e per questo motivo la loro concentrazione viene comunemente espressa in termini di numero di particelle per unità di volume di aria (Pnc). Tuttavia, la complessità delle loro proprietà chimico-fisiche non ha ancora permesso di correlatore direttamente e univocamente agli effetti sull’organismo e sull’ambiente”.
Tale variabilità rende difficoltoso determinare quali siano esattamente i fattori che condizionano in maniera significativa i possibili meccanismi tossicologici - molti ancora non noti - sul corpo umano. “Ci sono numerose evidenze sui possibili meccanismi di azione delle Ufp nell’organismo umano, ma gli studi epidemiologici attuali non sono ancora sufficienti per convergere verso metriche di misura con soglie che implichino limiti inferiori al di sotto dei quali possano essere escluse reazioni avverse dell’organismo. Importante, poi, il passaggio dagli effetti respiratori agli effetti sistemici”, sottolinea Costabile. Le particelle ultrafini infatti sono sospettate di provocare danni cardiopolmonari (patologie respiratorie, cancro al polmone) e neurologici (malattie di Parkinson e Alzheimer, demenza) e di innescare danni al Dna, penetrando nel sistema circolatorio attraverso gli alveoli polmonari. “Molto studiate sono state recentemente le possibili interazioni con il cervello, sia tramite il meccanismo di traslocazione attraverso i polmoni, sia lungo il percorso preferenziale del bulbo olfattivo, che si ipotizza fornisca un canale di accesso diretto dal naso al cervello ad alcune Ufp con proprietà particolari”.
Recentemente l’Oms ha ridiscusso i limiti per i gas O3 (ozono) , NO2 (biossido di azoto), SO2 (anidride solforosa), CO₂ (anidride carbonica), assieme al materiale particolato Pm2.5 e Pm10, le cui concentrazioni in aria ambiente sono normate a livello europeo (Direttiva 2008/50/EC) in relazione all’impatto sulla salute. “È interessante notare come l’Oms abbia ridotto a livelli estremamente bassi (5 µg /m3 anno) i valori di concentrazione ‘guida’ del Pm2.5, senza avere individuato soglie minime per la salute, mentre le direttive europee sulla qualità dell’aria attualmente non specificano i limiti per le Ufp”, precisa la ricercatrice. “È comunque riconosciuta la necessità di valutare la frazione delle Ufp e di quella più ‘nera’, il cosiddetto black carbon (Bc).
Il black carbon raggruppa un insieme di materiali sia a base di carbonio amorfo che ad alto contenuto di grafite derivanti da processi di combustione incompleta e da processi naturali. L’Oms utilizza una definizione operativa indicando come Bc il particolato a base di carbonio che è determinabile attraverso metodi ottici con una frazione importante di particelle in grado di assorbire specie tossiche e cancerogene, riconosciuto dalle linee guida Who come “un potente agente climalterante che assorbe il calore dell’atmosfera e riduce l’albedo quando si deposita sulla neve e sul ghiaccio”.
“Nel Pm1, le particelle di aerosol di Bc hanno essenzialmente una distribuzione bimodale: la frazione prettamente solida di dimensioni minori di 100 nm, appartenente alle Ufp, è prodotta dalla combustione dei combustibili fossili (automobili, aerei, etc.); la frazione di dimensioni maggiori deriva essenzialmente dalla combustione delle biomasse. La ricerca sugli effetti tossicologici di particelle ultrasottili e black carbon è ancora in fase iniziale. I lavori attuali basati su dati ricavati con strumentazioni diverse, talora non sufficienti per una caratterizzazione completa”, conclude Costabile. “È importante sottolineare che ancora non esistono uno strumento unico di misura né una metodologia robusta per valutare l’esposizione umana a tutte le proprietà fisico-chimiche delle Ufp di interesse per il possibile effetto sulla salute. Inoltre, non si tiene conto né dell’azione sinergica e antagonistica con altri inquinanti co-presenti, né dell’effetto delle condizioni ambientali che possono avere un ruolo chiave nei maccanismi tossicologici”.
Fonte: Francesca Costabile, Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima, e-mail: francesca.costabile@artov.isac.cnr.i