I bambini e gli adolescenti esposti a eventi stressanti possono riportare conseguenze gravi sia nel breve che nel lungo termine. E questo è vero anche per calamità naturali come i terremoti che negli ultimi mesi stanno colpendo l'Italia centrale.
I bambini, come gli adulti, possono vivere l'esperienza traumatica in qualità di vittima, spettatore, persecutore o soccorritore, sebbene abbiano difficoltà a comprendere le conseguenze derivanti dal rivestire una posizione o un'altra. Nella maggior parte dei casi, la mente di un bambino non è in grado di registrare in modo chiaro gli eventi stressanti, soprattutto quando si ripetono nel tempo. Durante le normali esperienze di vita il sistema nervoso centrale acquisisce i fatti avvenuti e le relative esperienze emotive, ma questo meccanismo viene alterato nelle esperienze fortemente traumatiche. Ad aggravare la situazione c'è poi l'incapacità dei bambini a verbalizzare le loro emozioni, che esprimono invece con agitazione, irrequietezza, paura del buio, problemi del sonno, incubi e scoppi di rabbia.
Più il bambino è piccolo, più è probabile che le modalità percettive prevalenti siano differenti da quelle dell'adulto e, quindi, non sempre comprensibili. Il vero indicatore delle emozioni infantili rimane l'adulto di riferimento, rispetto al quale il piccolo manifesta comportamenti d'attaccamento: sarà proprio la sua capacità interpretativa la chiave di lettura che consentirà di dare il giusto supporto.
I bambini, come gli adulti, hanno bisogno che qualcuno li aiuti a parlare di quanto è accaduto, poiché il silenzio è un danno che si aggiunge a quello dell'esperienza traumatica in sé. È necessario spiegare ai bimbi quello che stanno vivendo utilizzando il loro linguaggio, ricorrendo ad esempio al cartone animato o a storie lette da personale esperto.
I bambini, poi, difficilmente sanno associare i loro sintomi di malessere all'esperienza subita e, a fronte di un evento traumatico, sono in genere il corpo e il comportamento a parlare al loro posto con un'ampia gamma di reazioni emotive. Si possono identificare tre principali categorie: quelli che si mostrano tristi e depressi, quelli che diventano più aggressivi e ostili, quelli che tendono a isolarsi. Prima dei sette anni, di solito, i bambini rispondono senza un'apparente reazione emotiva, non esteriorizzando i loro sentimenti. Campanello d'allarme è però la tendenza alla regressione, che si manifesta con comportamenti infantili che il bambino aveva superato: piangere, succhiarsi il pollice, chiedere che gli venga dato da mangiare o il mancato controllo degli sfinteri. Inoltre, possono comparire ridotta concentrazione in classe e calo nel rendimento scolastico.
Queste reazioni, non riconducibili a un comune Disturbo dell'adattamento, si manifestano generalmente entro un mese dall'evento e possono protrarsi anche per mesi o anni dopo il trauma, sfociando nel Disturbo post-traumatico da stress, caratterizzato da ricordi ricorrenti dell'esperienza traumatica vissuta, sogni in cui si ripete l'evento, insonnia, irritabilità, fino alla cosiddetta 'anestesia emozionale', ossia appiattimento della sensibilità del bambino, ritiro sociale e riduzione delle capacità di interazione ludica. I bambini possono quindi mostrare un minore interesse per le attività usuali e apparire distanti e distaccati dalla famiglia e dagli amici.
In conclusione, è necessario predisporre contesti sicuri, in cui i bambini possano trasformare la realtà emotiva di cui sono stati partecipi passivamente attraverso strumenti quali il disegno, la drammatizzazione e la narrazione. In riferimento al terremoto del Centro Italia, ciò conduce alla necessità di definire percorsi che riducano la sintomatologia e diventino programmi di prevenzione per gli esiti patologici in età adulta.
Fonte: Angelo Gemignani, Istituto di fisiologia clinica, Pisa, tel. angelo.gemignani@unipi.it - Francesca Mastorci , email mastorcif@ifc.cnr.it -