Focus: Olimpiadi

La spirometria? Utile anche agli olimpionici

spirometria
di Silvia Mattoni

Lo hanno confermato il World spirometry day (Wsd) e l'European respiratory day organizzati lo scorso giugno da 150 paesi per incrementare i fondi per la ricerca e l'attuazione di strategie utili a combattere le patologie respiratorie. I due appuntamenti sono stati dedicati quest'anno anche alla relazione tra malattie respiratorie e sport, in occasione delle Olimpiadi di Londra

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Il World spirometry day (Wsd) e l'European respiratory day (Erd), svoltisi lo scorso giugno vogliono incoraggiare i cittadini a prendersi cura dei loro polmoni e sensibilizzarli sui problemi e i fattori di rischio correlati alle patologie polmonari croniche, con incontri di formazione e interventi educazionali mirati. Le iniziative delle Società scientifiche della pneumologia italiana: sono stati quest'anno dedicati anche alla relazione tra malattie respiratorie e sport, in considerazione dei Giochi olimpici di Londra. Obiettivo comune, per gli oltre 150 paesi coinvolti nella manifestazione; incrementare i fondi per la ricerca e l'attuazione di strategie utili a combattere le patologie respiratorie, offrendo ai cittadini l'opportunità di testare la propria salute e di usufruire dei consigli e dei chiarimenti di medici specialisti.

"La spirometria è uno dei test obbligatori per la valutazione dell'idoneità medico-sportiva degli atleti", spiega Sandra Baldacci dell'Unità di epidemiologia ambientale polmonare dell'Istituto di fisiologia clinica (Ifc) del Cnr di Pisa. "Un accertamento basilare che consente di valutare l'efficienza dell'apparato respiratorio e le possibilità ventilo-metaboliche dell'atleta in rapporto all'attività agonistica utile per la diagnosi, l'inquadramento, il trattamento e il monitoraggio delle patologie respiratorie in atto". Lo screening riesce a evidenziare anomalie, quali la riduzione del calibro delle vie aeree (difetto ostruttivo) o dei volumi polmonari (difetto restrittivo).

Ma perché la spirometria è così importante per agli atleti? "I dati disponibili in letteratura", chiarisce la ricercatrice, "sembrano indicare che attività fisiche particolarmente intense inducano una condizione di marcata immunodepressione che si traduce, da un punto di vista clinico, in una maggiore suscettibilità alle infezioni, soprattutto a carico delle vie aeree superiori". Da qui l'importanza di valutare, in questa popolazione a rischio, la funzione polmonare mediante spirometria per poter eseguire una diagnosi precoce e impostare l'adeguata terapia.

"Secondo alcune ricerche americane, alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984, già il 4.3% degli atleti della delegazione Usa risultava affetto da asma", aggiunge Giovanni Viegi, già presidente della Società europea di pneumologia (Ers) e direttore dell'Istituto di biomedicina e immunologia molecolare (Ibim) del Cnr di Palermo. "Un dato che con le Olimpiadi estive di Atlanta del 1996 e con quelle invernali di Nagano del 1998, saliva rispettivamente al 15,3% e al 22%. Alle Olimpiadi di Barcellona nel 1992 l'incidenza fra gli atleti spagnoli era intorno al 4,4%, negli olimpionici australiani è passata dal 10% del 1976 al 21% del 2000".

A evidenziare l'aumento significativo di tale patologia nel mondo dello sport, anche uno studio condotto dal Global Allergy and Asthma European Network (Ga2Len) sugli atleti tedeschi che hanno partecipato a Pechino 2008. A soffrire di asma risultava il 17% degli sportivi, a fronte del 7% del campione generale di popolazione. In particolare, gli atleti impegnati in sport di resistenza (da quelli acquatici, all'atletica su pista e su campo, al canottaggio e al ciclismo), oltre a una prevalenza di asma diagnosticata del 21%, registravano, rispetto alla popolazione generale, anche un incremento significativo del rischio di incorrere nella patologia. Simili risultati sono stati osservati anche in Canada, Danimarca, Regno Unito, Finlandia e Australia.

La percentuale di asmatici nella nazionale italiana segue l'andamento internazionale, pur se con cifre più basse. "Il 4,4% a Seoul nel 1988, il 4% a Barcellona nel 1992, l'8,4% ad Atlanta 1996, il 9,8% a Sydney nel 2000", conclude il direttore dell'Ibim-Cnr. "Alle Olimpiadi di Atene 2004, nella squadra italiana, gli atleti asmatici erano il 9,5% mentre a Pechino il 10%. Diversi atleti con patologie respiratorie sono stati però nominati Lung Champions grazie ai loro successi sportivi (su www.wsd2012.european-lung-foundation.org/), a dimostrazione che è possibile raggiungere ottimi risultati anche se affetti da una malattia cronica, a condizione che sia adeguatamente diagnosticata e trattata".

Silvia Mattoni

Fonte: Sandra Baldacci, Istituto di fisiologia clinica, Milano, tel. 050/3153734-502031 , email baldas@ifc.cnr.it - Giovanni Viegi, Istituto di biomedicina e di immunologia molecolare "Alberto Monroy", Palermo, tel. 091/6809194 , email giovanni.viegi@ibim.cnr.it -

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