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In futuro farmaci mirati

pillole
di Silvia Mattoni

Grazie allo studio di 'biomarcatori', sarà possibile individuare per ciascun paziente la terapia 'ideale' che potenzi la risposta, riducendo gli effetti indesiderati. A spiegare questa frontiera della ricerca, Vincenzo Di Marzo dell'Icb-Cnr di Pozzuoli

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Fornire un''impronta digitale molecolare' di ogni singola patologia per una diagnosi appropriata e per prevedere la risposta di un individuo alla terapia. Sono queste le nuove strategie per lo sviluppo di farmaci 'personalizzati'. Grazie all'affermarsi di sempre più sofisticate metodologie, oggi è possibile tracciare il profilo di geni, proteine e metaboliti di ogni paziente.

"Con la genomica, trascrittomica, proteomica e metabolomica - sottodiscipline della biologia dei sistemi", spiega Vincenzo Di Marzo dell'Istituto di chimica biomolecolare (Icb) del Cnr di Pozzuoli, "siamo in grado di individuare 'biomarcatori' per la diagnosi delle malattie, ovvero macromolecole e metaboliti i cui livelli e le cui attività biologiche risultano specificatamente alterati durante alcuni stati patologici, sottendendone spesso l'eziologia e il decorso". Da qui parte la possibilità di disegnare farmaci quasi 'personalizzati' per correggere tali alterazioni e alleviare le patologie corrispondenti o, ancora meglio, rallentarne e bloccarne il decorso.

"Questo approccio è necessario a causa della frequenza di bassa risposta a molte cure", sottolinea il ricercatore dell'Icb-Cnr, "dovuta a una particolare 'farmacogenomica', cioè ai fattori genetici del paziente o a un successivo intervento di 'farmaco-resistenza'". Un problema cruciale. Visto che per alcune malattie sono spesso disponibili farmaci con più meccanismi d'azione e diversi effetti indesiderati, grazie allo studio di questi 'biomarcatori', si potrebbe individuare per ciascun paziente un 'farmaco ideale' o, almeno, un 'cocktail' di farmaci che ottimizzi la risposta terapeutica e riduca il rischio di effetti indesiderati.

In questo contesto si inserisce anche il rinnovato interesse per le cosiddette 'dirty drugs', ovvero i farmaci con più bersagli molecolari, tradizionalmente scartati dall'industria farmaceutica multi-nazionale, che negli ultimi 25 anni ha prediletto i 'magic bullets', molecole ultra-potenti e altamente selettive, con scarso successo però sul fronte delle nuove terapie.

"Gli scaffali delle industrie farmaceutiche sono probabilmente pieni di molecole accantonate, perché considerate non abbastanza selettive e quindi poco sicure", aggiunge Di Marzo. "Eppure sappiamo che moltissimi dei farmaci di maggiore successo, siano essi sintetici o di origine naturale, quali aspirina, paracetamolo, cortisone, appartengono alle 'dirty drugs'. L'uso dei 'biomarcatori' oggi potrebbe rilanciare non solo l'uso di nuove combinazioni di principi attivi, ma anche la rivisitazione di sostanze 'multi-target' e, magari, suggerirne il disegno e lo sviluppo di nuove".

Ancora una volta i farmaci naturali potrebbero essere di ispirazione. "Si potrebbero sfruttare molecole che interagiscono con il sistema degli endocannabinoidi, come il cannabidiolo (un cannabinoide non psicotropo da cannabis), e la palmitoiletanolammide (un mediatore lipidico endogeno), che presentano potenti effetti anti-infiammatori", prosegue il ricercatore. "Entrambe le molecole hanno già trovato impiego in nuove formulazioni farmaceutiche, per alleviare, rispettivamente, la spasticità nella sclerosi multipla e il dolore neuropatico e pelvico".

Silvia Mattoni

Fonte: Vincenzo Di Marzo, Istituto di chimica biomolecolare, Pozzuoli , email vincenzo.dimarzo@icb.cnr.it -

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