Quali prospettive per il dottorato di ricerca in Italia?
Vitantonio Mariella, ricercatore dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr, esamina la situazione di questo corso universitario nel nostro Paese, evidenziando cosa occorre fare perché si raggiungano anche da noi gli standard degli altri Stati occidentali avanzati
Quando era presidente dell’Accademia dei Lincei, il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi e altri tredici eminenti studiosi italiani, nel febbraio 2021, hanno scritto al presidente del Consiglio ricordando che l’Italia investe troppo poco in ricerca pubblica e che è necessario aumentare drasticamente il numero dei ricercatori, fino a raggiungere il numero di 100mila unità. L’appello faceva presente che questo investimento è necessario per colmare il divario esistente tra l’Italia e i suoi principali partner commerciali. Parimenti, la ministra dell’Università e della ricerca Maria Cristina Messa, nel maggio 2021, ha sostenuto di voler addirittura raddoppiare il numero dei dottorati in Italia.
Dichiarazioni così autorevoli hanno indotto il Cnr a verificare dal punto di vista quantitativo quale sia la situazione del dottorato in Italia, introdotto oramai quarant’anni fa e forse bisognoso di un tagliando. Un capitolo della terza “Relazione annuale sulla ricerca e l’innovazione” è infatti dedicato proprio al dottorato di ricerca come strumento di politica della scienza e dell’innovazione, e si propone di gettare luce sull’effettivo fabbisogno di un numero maggiore di dottori di ricerca nel sistema produttivo italiano.
Un Paese che desidera raggiungere un elevato tasso di innovazione industriale ha necessità di usare come fonti le idee, le invenzioni e le sperimentazioni effettuate nelle università e nel settore pubblico, ed è noto che le imprese leader nella competizione tecnologica attingono le proprie conoscenze anche dalle università e dagli enti di ricerca governativi. Tale esigenza, cui si dovrebbe far fronte con un corrispettivo elevato aumento dell’investimento pubblico in formazione avanzata, deve essere contemperata dalla uguale e impellente necessità di creare un ambiente produttivo caratterizzato da un’elevata specializzazione nei settori ad alta tecnologia. In caso contrario, si rischierebbe di formare personale altamente qualificato, sostenendone il costo sociale, che poi non troverebbe impiego adeguato alle proprie competenze, con il rischio di essere addirittura indotto a emigrare per trovare opportunità professionali in paesi concorrenti.
La Relazione evidenzia innanzitutto come i dottori di ricerca siano, in Italia, assai meno che nei nostri partner economici, politici e culturali, sia in rapporto allo stock totale della forza lavoro che in termini di flusso annuale di diplomati. L’esortazione ad aumentare i posti banditi sembra quindi del tutto giustificata. Analizzando i dati con maggiore attenzione, però, il quadro che viene fuori mostra che aumentare i dottorati ha senso solo se si opera in un più generale aggiornamento delle conoscenze tecnologiche e industriali del Paese.
Da una parte, infatti, la maggior parte di coloro che conseguono il titolo si inserisce nel mercato del lavoro, la quota dei non occupati è solo di poco superiore al livello frizionale. Ma dall’altra, la stragrande maggioranza dei dottori di ricerca trova lavoro presso le università, la pubblica amministrazione e l’istruzione non universitaria, mentre solo una piccola parte nel settore delle imprese. Inoltre, è marcata la quota di addottorati che, dopo aver conseguito il titolo, abbandona il Paese per lavorare all’estero. Tale quota è particolarmente alta per le Scienze fisiche (32%), Matematica e informatica (27%) e Ingegneria industriale e dell’informazione (19%). A definire meglio i contorni di questo quadro vi è poi la considerazione che una percentuale molto alta dei dottori di ricerca non ritiene necessario aver conseguito il titolo per svolgere il proprio lavoro, nonché la notevole differenza nel salario percepito con l’estero: 2.700 euro contro i 1.679 euro medi percepiti a sei anni dal conseguimento del titolo. Vista la sua specializzazione produttiva, insomma, l’Italia sembra assai prolifica nel “coltivare” dottori di ricerca nelle materie scientifiche e ingegneristiche, nonostante sia spesso lamentata la loro carenza. Aumentare il numero dei dottorati in queste materie senza creare per loro opportunità professionali adeguate e ben retribuite rischia di tradursi nella gentile concessione di un servizio ai nostri partner più avanzati anziché al nostro Paese.
Occorre inoltre segnalare che molti studenti italiani svolgono il dottorato all’estero. La ricognizione, per quanto parziale, mostra che solo sei paesi (Austria, Francia, Spagna, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti) ospitano circa 12mila studenti di dottorato italiani. D’altra parte, nei dottorati italiani solo il 15% è composto da studenti stranieri, la maggior parte proveniente dai Paesi emergenti: i primi tre Paesi sono, infatti, Iran, Cina e India. Ancora una volta si palesa l’evidente difficoltà nell’attrarre studenti provenienti dai Paesi a più alta intensità tecnologica, il cui canto delle sirene appare invece ben più seducente nei confronti dei laureati italiani.
Per concludere: l’obiettivo di aumentare il numero di dottorandi è senz’altro condivisibile, così come quello di aumentare contestualmente il numero dei ricercatori finanziando ulteriormente la ricerca e l’innovazione. Sono azioni necessarie per creare un percorso di carriera che permetta di metterli nelle condizioni di svolgere in modo meno precario la loro attività di ricerca e di equipararci agli standard degli altri Paesi occidentali più avanzati. Ma tale proposito deve essere integrato in una più ampia visione di ricostruzione dell’economia italiana e del suo sistema scientifico, tecnologico e dell’innovazione, e necessita di essere accompagnato da una politica industriale volta a creare adeguate opportunità professionali nell’alta tecnologia anche al di fuori dell’accademia.
Fonte: Vitantonio Mariella, Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali, e-mail: vitantonio.mariella@irpps.cnr.it