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Nuove prospettive terapeutiche per la retinite pigmentosa

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di F.G.

Uno studio coordinato dall'Istituto di neuroscienze del Cnr di Pisa e dall'università di Milano ha rivelato nuove prospettive farmacologiche per rallentare la degenerazione dei fotorecettori colpiti dalla malattia ereditaria, che porta alla cecità

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Uno studio, frutto della collaborazione tra l'Istituto di neuroscienze (In) del Cnr di Pisa, gli atenei di Milano e Pisa, la Fondazione ‘G.B. Bietti' di Roma e la Nanovector di Torino, ha dimostrato l'efficacia di un innovativo trattamento farmacologico in grado di rallentare la degenerazione dei fotorecettori (i neuroni della retina che ‘individuano' i segnali luminosi) colpiti dalla retinite pigmentosa, una malattia genetica che ne causa la progressiva morte cellulare, portando alla cecità.

La ricerca in oggetto, pubblicata sulla prestigiosa rivista  scientifica Pnas, si basa sui risultati di un trattamento farmacologico somministrato a topi e che utilizza una molecola chiamata ‘myriocin': in grado di inibire la morte cellulare agendo su una catena biochimica già studiata in diverse altre condizioni patologiche, ma mai nella retinite pigmentosa.

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Un altro risvolto importante della ricerca ha riguardato la via di somministrazione del farmaco, basata sull'impiego di nanoparticelle lipidiche, qui usate in forma di collirio, una modalità decisamente meno invasiva delle iniezioni intraoculari solitamente in uso per il trattamento di varie patologie oculari.

"Le nanoparticelle, caricate della molecola inibitrice, sono state somministrate a topolini che riproducevano in modo fedele la retinite pigmentosa umana, andando inevitabilmente incontro a una progressiva degenerazione della retina", racconta Enrica Strettoi dell'In- Cnr,  coordinatrice dello studio con il biochimico dell'università di Milano Riccardo Ghidoni e con l'esperta in fisiologia del sistema visivo Claudia Gargini dell'università di Pisa. "Il trattamento ha dimostrato di poter abbassare il ceramide retinico, aumentare la sopravvivenza dei fotorecettori, conservarne la morfologia e accrescere la capacità della retina di rispondere alla luce, come valutato attraverso la registrazione dell'elettroretinogramma".

Gli ottimi risultati della sperimentazione animale e il basso livello di invasività delle modalità di somministrazione spingono a ritenere che tale trattamento possa rappresentare un approccio terapeutico anche per la cura degli esseri umani, sia per la retinite pigmentosa sia per altre patologie della retina.

Fonte: Enrica Strettoi , Istituto di neuroscienze, Pisa, tel. 050/3153157, email enrica.strettoi@in.cnr.it

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