Il sogno di un archivio universale
Per Napoleone gli archivi costituivano una forma di controllo sulle fonti per la scrittura di una nuova storia dell'Europa riunificata sotto l'impero. Ma anche una sorta di sorveglianza sulla memoria dei popoli e delle identità nazionali, spiega Maurizio Gentilini del Dipartimento di scienze umane e sociali e patrimonio culturale
Si narra che Napoleone avesse affermato: “A volte preferisco avere un buon archivista, piuttosto che un generale di artiglieria”. Indubbiamente, nel suo progetto di conquista degli stati nazionali europei e nella sua visione imperialistica rientrava anche l'acquisizione di tutti i titoli giuridici utili ad attestare la sovranità e a supportare l'amministrazione delle terre e dei popoli ricondotti sotto il nuovo dominio francese. Da qui ebbe origine la grande attività di confisca e trasporto in Francia degli archivi dei Paesi conquistati, descritta da Maria Pia Donato, storica al Cnrs di Parigi, nel saggio “L'archivio del mondo” (Laterza).
Oltre alle funzioni meramente burocratiche e di governo, nel disegno napoleonico gli archivi assumevano un particolare valore politico e simbolico: innanzitutto per il consolidamento e la legittimazione di un'idea di impero nata in pochi anni e in rapida (e all'apparenza inarrestabile) espansione; poi come base di un programma ideologico di (ri)scrittura della storia. Attingendo alla suggestione illuministica di una biblioteca universale, gli archivi rappresentavano una forma di possesso e di controllo sulle fonti per la scrittura di una nuova storia del vecchio continente (e magari anche dei nuovi), riunificato sotto la corona imperiale napoleonica, nonché di sorveglianza sulla memoria dei popoli e delle identità nazionali.
Una storia scritta dal centro del potere, con narrazioni che esaltassero la funzione civilizzatrice dell'Impero, esito e definitivo interprete dell'era dei lumi e dei valori della rivoluzione francese. Un programma che comprendeva anche la confisca delle maggiori opere d'arte delle varie tradizioni nazionali, da concentrarsi al Louvre. Un patrimonio della scienza e delle arti che, secondo la dottrina di Édouard Pommier, solo in Francia avrebbero potuto esprimere appieno il proprio valore culturale e civile.
Una visione – non priva di tratti di megalomania – che si ispirava a un'idea di unità medievale, e che si esplicitò nell'acquisizione forzata e nel trasporto a Parigi degli archivi viennesi, eredi del Sacro romano impero, e di quelli del Papato; per poi proseguire con i documenti conservati nelle capitali dei territori spagnoli, olandesi, belgi, tedeschi e degli antichi regimi italiani. Il tutto sotto la sovrintendenza dell'archivista imperiale Pierre-Claude-François Daunou, fedele esecutore del disegno di creazione di un archivio universale - collocato nel palazzo del Marais, ancora oggi sede degli Archives Nationales - che fosse anche un monumento della grandeur dell'impero. Un programma colossale interrotto dagli esiti della disastrosa campagna di Russia, dalla caduta di Bonaparte, dalla restaurazione del vecchio ordine internazionale sancito dal Congresso di Vienna, che portarono alla restituzione degli archivi a chi di competenza.
Il controllo sull'accesso ai materiali necessari per elaborare la narrazione storica è principio caro al potere e ai regimi (e spesso anche agli archivisti) di ogni tempo, in costante confronto dialettico con la libertà della ricerca storica. L'accumulazione e la selezione delle fonti non è mai operazione neutra e il controllo sulla formazione e sulla gestione degli archivi dovrebbe far parte dell'attenzione di ogni cittadino, così come della riflessione di ogni storico. Così come, in tempi più recenti, il possesso e il controllo sull'informazione di pubblico dominio passa dal potere sugli algoritmi che la governano.
Una possibile analogia con il visionario progetto napoleonico di “archivio del mondo”, seppure in contesti culturali e con modalità non paragonabili, si può riscontrare nella nostra epoca innanzitutto proprio nell'oligopolio della Rete e del patrimonio digitale. Ultimo casus belli al riguardo la diatriba tra Spotify e Apple per il dominio sull'ingente business della musica in streaming. E poi due diverse realizzazioni, accomunate anche dalla collocazione geografica: l'“Arctic World Archive”, costruito in una miniera di carbone dismessa nelle isole Svalbard e dedicato alla raccolta e alla salvaguardia dei documenti considerati di notevole importanza per l'umanità (di natura politico-amministrativa, dati scientifici e sulla sicurezza, conservati su supporti analogici durevoli); e il “Global Seed Vault”, il bunker che raccoglie tutti i semi nell'isola di Spitsbergen. Il primo, gestito da un pool di società tecnologiche e minerarie norvegesi, è un'impresa dichiaratamente a fini di lucro e accoglie i documenti su richiesta dei possessori; il secondo è gestito da un'organizzazione no profit partecipata dal governo norvegese, con l'intento di preservare le specie vegetali necessarie alla sopravvivenza dell'umanità.
Sulla stessa linea il progetto – promosso dal Cnr e dall'Università di Venezia Ca'Foscari - denominato Ice Memories e coordinato dal direttore dell'Istituto di scienze polari Carlo Barbante: un archivio delle carote prelevate da alcuni ghiacciai delle Alpi e degli Appennini, che verrà conservato in Antartide e dal quale verranno estratti una enorme quantità di dati indispensabili per gli studi sul clima.
Fonte: Maurizio Gentilini, Dipartimento di scienze umane e sociali e patrimonio culturale del Cnr, Roma , email maurizio.gentilini@cnr.it -