Pubblicato a puntate per la prima volta nel 1921 su una rivista pulp statunitense, “John Carter e la principessa di Marte” (Fanucci) di Edgar Rice Burroughs è ritenuto dagli esperti del genere il capostipite della letteratura “planetary romance”, fantascienza di intrattenimento senza grandi velleità letterarie, ambientata in pianeti ostili popolati da alieni mostruosi, genere che vanta ancora numerosi proseliti e imitatori. Nulla a che vedere con la “science fiction” intesa come letteratura che interpreta il presente e le possibili evoluzioni della società moderna attraverso l'allegoria di mondi utopistici e tecnologie immaginifiche. Questo è nient'altro che un romanzo di semplice, autentica avventura: il protagonista, ex ufficiale dell'esercito sudista della guerra civile americana, racconta, in un manoscritto lasciato in eredità al nipote, di come un giorno, rifugiatosi in una caverna mentre scappava dagli indiani, si ritrova improvvisamente su Marte, senza motivo apparente. Qui iniziano le sue straordinarie peripezie, che lo portano a combattere diaboliche creature verdi a sei zampe e a innamorarsi della principessa di una tribù indigena di umanoidi rossi, con la quale intraprende una fuga avventurosa tra mille, incredibili colpi di scena.
All'epoca il romanzo ottenne un grande e inatteso successo di pubblico, tanto da aprire un ciclo di altri dieci romanzi. Si tratta di una narrativa di disimpegno, perfetta per evasioni estive sotto l'ombrellone, che deve molto ai feuilleton e ai grandi personaggi di storie fantastiche, da Ulisse a Gulliver, e che si distacca dai canoni dei fondatori della fantascienza, come Herbert George Well e Jules Verne, perché qui la scienza ha un ruolo davvero marginale.
Con lo scorrere delle pagine, il lettore si ritrova in una progressiva fuga dalla realtà, che solo la grande capacità affabulatoria dell'autore possono rendere credibile. Capacità che hanno permesso a Burroughs negli stessi anni di ideare anche il personaggio di Tarzan, protagonista di un'epopea di ancora maggiore successo, che ha reso l'autore milionario.
E dire che Burroughs prima di scrivere queste due grandi saghe, all'età di trentacinque anni, non aveva alcuna esperienza letteraria: dopo aver lasciato l'esercito e subito diversi insuccessi imprenditoriali, tenta la carta disperata del racconto di fantasia per la stessa rivista di serie B di cui gestiva gli spazi pubblicitari. Addirittura, Ray Bradbury lo ha definito “probabilmente il più influente scrittore dell'intera storia del mondo”. Sicuramente si tratta di uno scrittore che narrava le storie che lui stesso avrebbe voluto leggere, intuendo alla perfezione i gusti del pubblico e cogliendo quegli archetipi narrativi che hanno permesso ai suoi romanzi di affascinare generazioni di lettori. J.K. Rowling ne sa qualcosa.
titolo: John Carter e la principessa di Marte
categoria: Narrativa
autore/i: Rice Burroughs Edgar
editore: Fanucci
pagine: 263
prezzo: € 12.00