Focus: Marco Polo

L’eredità di Marco Polo cartografo

Fra Mauro map
di Luisa De Biagi

L’immediato successo delle dettagliate memorie di viaggio di Marco Polo, trascritte dal suo racconto diretto da Rustichello da Pisa negli ultimi anni del 1200, incise, come è immaginabile, anche sulla storia della successiva cartografia e topografia con l’aggiornamento o la redazione di nuove mappe, costituendo per gli europei uno strumento e un punto di non ritorno per la conoscenza e la comprensione approfondita della geografia e della cultura asiatica: ne abbiamo parlato con Angelo Maria Cattaneo dell’Istituto di storia dell’Europa mediterranea del Cnr

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La divulgazione de “Il Milione”, diario di viaggio di Marco Polo, cambiò gli orizzonti del mondo conosciuto, influenzando esploratori, naviganti e viaggiatori per fini diplomatico-religiosi o commerciali, incidendo anche sulla storia della cartografia e della topografia, con l’aggiornamento o la redazione di nuove mappe, mappamondi, carte nautiche, globi.

Proprio il cosiddetto "Mappamondo di Fra Mauro", planisfero attribuito a un monaco veneto attivo nella prima metà del XV secolo, è da molti considerato emblema dell’eredità di Marco Polo in ambito cartografico. Infatti, rispetto alle precedenti rappresentazioni del globo terrestre, così intrise di teologia medievale da centralizzare tutto su Gerusalemme e il Mar Mediterraneo, esso restituisce importanza, descrive morfologicamente e geo-localizza esattamente i territori asiatici - in particolare Cina, India e Mongolia -, tanto da poter essere avvicinato ai moderni planisferi. Fra’ Mauro, infatti, consultò e utilizzò un manoscritto con le tavole cartografiche della Geografia di Tolomeo (II secolo d. C.), mantenendone molti elementi cartografici, integrando poi informazioni ricavate dai resoconti dei Polo e dell’esploratore veneziano Niccolò de’ Conti. La storia del Mappamondo di Fra’ Mauro è strettamente collegata alla prima edizione critica de “Il Milione” (il Devisement dou monde, trasmesso dal codice parigino fr. 1116), curata dal geografo e filologo veneto Giovan Battista Ramusio. Nel 1559, infatti, fu pubblicata postuma la Historia delle cose de Tartari, et diuersi fatti de loro Imperatori, descritta da M. Marco Polo Gentilhuomo Venetiano, et da Haiton Armeno, inserita nel II volume del suo “Navigationi et viaggi”, primo monumentale e importante trattato geografico moderno.

Come spiega Angelo Maria Cattaneo, ricercatore dell’Istituto di storia dell’Europa mediterranea (Isem) del Cnr e autore con Irene Reginato dello studio in corso di stampa "Il Devisement dou monde e le sue rappresentazioni cartografiche fra tardo Medioevo e Modernità" in Simion, S.; Burgio, E.,  "Marco Polo. Storia e mito di un viaggio e di un libro", (Roma, Carocci, 2024 ): “È il primo tentativo di un’edizione critica del racconto di Marco Polo fondato sulla collazione dei codici allora disponibili a Venezia. Alla dedica segue la ‘Dichiarazione d’alcuni luoghi ne’ libri di messer Marco Polo con l’istoria del reubarbaro’, introduzione in cui Ramusio conferma la veridicità e attualità della geografia tracciata da Polo, utilizzando pure il resoconto di Chaggi Memet (Hajji Mahommed), mercante di Tabas giunto a Venezia per commerciare il rabarbaro importato dal Gansu (Cina). Nella parte finale della Dichiarazione Ramusio affronta, con grande chiarezza, anche il rapporto tra il testo poliano e un celebre mappamondo, a lui noto come ‘mappamondo di San Michele’, disegnato a Venezia intorno al 1450 da Fra Mauro, converso camaldolese del monastero di San Michele di Murano (di cui Ramusio ignorava l’identità). La riflessione è molto importante, non solo perché costituisce la prima descrizione del mappamondo, ma soprattutto perché, 250 anni dopo la pubblicazione e circolazione manoscritta del ‘Devisement du Monde’, suppone l’esistenza di documenti cartografici originali, appartenuti e redatti dai Polo durante i viaggi in Asia. Secondo Ramusio, una volta portati a Venezia, essi furono copiati con l’aggiunta di elementi fantasiosi e inattendibili; nel XV secolo, quando si avvertì l’esigenza di emendare il testo di Polo dalle ‘cose moderne alquanto ridicule’ e ‘di confrontare quello ch’egli scrive con la pittura di lui’, ci si rese conto che Fra’ Mauro aveva utilizzato in modo più corretto, per la sua rappresentazione dell’Asia, le carte poliane: ‘immediate si è venuto a conoscere che ’l detto mappamondo fu senza alcuno dubbio cavato da quello di messer Marco Polo, e incominciato secondo quello con molto giuste misure e bellissimo ordine’ (Ramusio, Dichiarazione, f. 17r). Il risultato fu a tal punto encomiabile che il mappamondo divenne così autorevole da essere mostrato ai visitatori fra i ‘miracoli’ di Venezia”.

Dunque, intorno alla metà del secolo XVI sec. un umanista come Ramusio credeva nell’esistenza di documenti cartografici redatti dai Polo. “Egli li riteneva ormai perduti al tempo, ma pensava che, nel corso di un secolo e mezzo, essi fossero stati copiati (e corrotti nella copia), fino a giungere nelle mani di un cosmografo di San Michele (Fra Mauro), che li aveva emendati e ridisegnati in modo più corretto grazie alla rilettura del testo poliano. È fondamentale precisare che non vi sono tracce certe dell’esistenza di documenti cartografici riconducibili ai Polo; questo non esclude che siano potuti esistere e che abbiano dato origine a una tradizione cartografica. I Polo potrebbero quindi aver disegnato mappe rendicontando cartograficamente i loro itinerari, ma, a conti fatti, l’operazione accurata di Ramusio rispecchierebbe comunque una forma mentis coeva e la cultura di uno studioso avvezzo all’uso contemporaneo della cartografia quale strumento di conoscenza”, spiega il ricercatore. “L’esistenza delle carte disegnate dai Polo potrebbe riflettere la ‘mentalità cartografica’ dei viaggiatori e dei cosmografi del Cinquecento, secondo i quali, in conformità con quanto era capitato dalla fine del ’400 con i ‘descobrimentos iberici’, era impossibile che i Polo non avessero registrato i propri viaggi in Asia anche in forma cartografica. Dalla narrazione di Ramusio potrebbe derivare il mito dell’esistenza della cartografia poliana che, associata ai viaggi di Colombo, è all’origine di falsi attestati dal sec. XIX. Al proposito, vale la pena ricordare che strettamente connessa al lavoro di Ramusio è la cospicua produzione cartografica di Giacomo Gastaldi (m. 1566), che disegnò le mappe nella prima edizione delle ‘Navigationi’, e a più riprese utilizzò il ‘Devisement’  come fonte per le raffigurazioni cartografiche del Cataio e del Mangi (della Cina settentrionale e meridionale)… Ad esempio per preparare le grandi carte murali commissionategli dalla Repubblica di Venezia per la Sala dello Scudo di Palazzo Ducale (1553, 1561) e una celebre e autorevole carta dell’Asia in tre parti (1561)”.

In mancanza di ulteriori riscontri documentali, si è costretti a rimanere nel campo delle congetture; una certezza è però indiscutibile. “A partire dalla metà del secolo XIV, prima in ambito catalano e poi veneziano e fiorentino, un rilevante corpus cartografico attesta l’esistenza di trasposizioni visuali del Devisement”, conclude Cattaneo.

L'impatto de “Il Milione" sulla cartografia postuma persistette a lungo: ne è un esempio un’edizione di inizio ’600 del "Theatrum Orbis Terrarum", recante una mappa dell'Oriente con la rappresentazione postuma del Gran Khan nella sua tenda (l'Impero Mongolo non esisteva più dal 1368).

Fonte: Angelo Maria Cattaneo, Istituto di storia dell’Europa mediterranea, angelomaria.cattaneo@cnr.it

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