Gli scimpanzé: così vicini, così lontani
La specie animale evolutivamente più vicina a noi è lo scimpanzé (Pan troglodytes), con cui abbiamo avuto un antenato in comune circa 6-7 milioni di anni fa e con cui condividiamo oltre il 98% del nostro patrimonio genetico. Ma cosa significa essere per più del 98% scimpanzé? Lo spiega Elsa Addessi, dirigente di ricerca dell'Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr
Charles Darwin, nella sua opera “The Descent of Man and Selection in Relation to Sex” (1871), ha affrontato la questione dell’origine della specie umana e sostenuto la continuità tra le nostre facoltà mentali e quelle degli altri animali. Da Darwin in poi, lo studio del comportamento animale ha assunto un’importanza fondamentale per la comprensione delle radici evolutive di molti comportamenti umani e ha stimolato la ricerca degli aspetti che ci rendono simili, o diversi, rispetto alle altre specie. In questa lunga ricerca è apparso naturale guardare alla specie animale evolutivamente più vicina a noi, lo scimpanzé (Pan troglodytes), con cui abbiamo avuto un antenato in comune circa 6-7 milioni di anni fa e con cui condividiamo oltre il 98% del nostro patrimonio genetico. Ma cosa significa essere per più del 98% scimpanzé?
In realtà, analizzando in dettaglio le differenze genetiche tra le due specie, emerge che il 10% dei geni si esprime diversamente, ovverosia codifica per proteine diverse in almeno una regione del cervello e la differenza nell’espressione genica è maggiore nel cervello - l’organo preposto per eccellenza alla cognizione - piuttosto che nel fegato. Inoltre, se si considerano famiglie di geni simili, le differenze tra le due specie aumentano fino al 6 %.
Gli scimpanzé rimangono comunque gli animali filogeneticamente più vicini a noi, in cui spesso sono state riscontrate per la prima volta capacità cognitive che si pensava fossero esclusivamente umane, come ad esempio la capacità di utilizzare strumenti per scopi non raggiungibili altrimenti. Fu negli anni Sessanta che la famosa primatologa Jane Goodall scoprì che gli scimpanzé sono in grado di usare bastoncini per catturare insetti come le termiti e le formiche, tanto che Louis Leakey, l’illustre paleoantropologo che ne aveva finanziato le ricerche, pronunciò la famosa frase “Now we must redefine tool, redefine Man, or accept chimpanzees as humans - Ora dobbiamo ridefinire cosa è uno strumento, cosa è un uomo, o accettare che anche gli scimpanzé siano umani”. Da allora in poi è stato scoperto che molte altre specie animali, oltre agli scimpanzé, usano strumenti, sebbene con un grado di complessità variabile.
Un altro tratto un tempo considerato esclusivamente umano è la presenza di tradizioni culturali, definite come comportamenti che si diffondono all’interno di un gruppo, ma non in gruppi limitrofi, e che non possono essere spiegate sulla base di differenze genetiche oppure ecologiche. Tra gli scimpanzé sono state scoperte decine di comportamenti, principalmente di uso di strumenti ma non solo, che possono essere considerati tradizioni culturali. Sembra tuttavia che questi comportamenti si diffondano all’interno dei gruppi tramite meccanismi di apprendimento sociale (ad esempio la facilitazione sociale e l’incentivazione dell’interesse verso il luogo dove altri individui stanno agendo) cognitivamente più semplici rispetto all’imitazione o all’insegnamento, che sono ampiamente presenti solo nella specie umana. È grazie a questi meccanismi di apprendimento estremamente sofisticati, oltre che al linguaggio, che le culture umane hanno rapidamente raggiunto un grado di complessità e di diffusione non paragonabile a quello di nessun’altra specie animale, con un progressivo accumulo di conoscenze e innovazioni.
A proposito del linguaggio, è doveroso ricordare come tutti i tentativi di insegnare linguaggi paragonabili a quelli umani agli scimpanzé, tra gli anni Cinquanta e Ottanta dello scorso secolo, non hanno ottenuto il successo sperato. Lo scimpanzé Vicki, dopo quattro anni di addestramento, riusciva ad articolare solo quattro suoni simili alle parole inglesi papa, mama, cup e up. E anche gli scimpanzé più bravi nell’uso della lingua dei segni - come Washoe e Nim - ricorrevano ai segni solo su comando, per richiedere qualcosa o imitando i segni osservati immediatamente prima, ma non utilizzavano spontaneamente i segni per attirare l’attenzione di un altro individuo su oggetti o avvenimenti, come accade nei bambini. Risultati simili sono stati ottenuti con gli scimpanzé Sarah e Lana, a cui sono stati insegnati linguaggi basati sull’impiego di stimoli simbolici.
Da questi studi emerge pertanto che la specie umana e lo scimpanzé, per quanto estremamente simili dal punto di vista genetico, mostrano tuttora notevoli differenze nell’aspetto fisico e nel comportamento. Ma la ricerca continua.
Fonte: Elsa Addessi, Istituto di scienze e tecnologie della cognizione, elsa.addessi@istc.cnr.it