Focus: Il 68

La rivoluzione delle donne

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di Cecilia Migali

Sergio Benvenuto, psicanalista e ricercatore dell'Istc-Cnr, autore di saggi sul movimento, spiega: “La rivoluzione sessuale non è stata un prodotto del '68, ma piuttosto il contrario. È da lì che arrivano l'emancipazione femminile, l'accettazione degli orientamenti Lgbt, la coscienza ecologica”

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Quando parliamo della trasformazione culturale e sociale indotta dal '68 non possiamo non associarla a un'altra grande rivoluzione, quella femminista, nella quale le istanze di emancipazione dal potere maschile, iniziarono a prendere una nuova forma. “La mutazione del costume era cominciata ben prima del '68, soprattutto nei paesi scandinavi permeati di austerità luterana. Direi anzi che la rivoluzione sessuale non è stata un prodotto del '68, piuttosto il contrario, anche se dal '68 sono derivati l'emancipazione femminile, l'accettazione degli orientamenti Lgbt (lesbico, gay, bisessuale, transgender), la coscienza ecologica”, spiega Sergio Benvenuto, psicoanalista e ricercatore dell'Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Istc) del Cnr, che sul maggio parigino ha pubblicato il saggio-memoriale 'Es war einmal in Paris' ('C'era una volta a Parigi') e che darà alle stampe nei prossimi mesi un nuovo libro sul '68. “Il femminismo fu inventato da uomini. In particolare da Choderlos de Laclos che nel 1783, sei anni prima dello scoppio della Rivoluzione francese, pubblicò 'Des Femmes et de leur éducation'E fu rilanciato nel 1869 dal filosofo inglese John S. Mill che scrisse, con la moglie Harriet Taylor, 'The Subjection of Women'. Le suffragette anglosassoni non sarebbero mai riuscite ad allargare i diritti delle donne, senza la collaborazione di alcuni influenti rappresentanti dell'altro sesso. Del resto i due sessi sono interdipendenti: se uno di essi vuole cambiare, occorre in qualche modo l'assenso dell'altro”.

Espressioni come 'autodeterminazione dei corpi', e 'coscienza di sé' iniziarono a circolare negli anni attorno al '68 permeando il dibattito ma anche la moda, il linguaggio del corpo e lo stile di vita. “L'abito che rappresenta tuttora l'epitome dell'eguaglianza sessuale sono i jeans, che la generazione detta dei 'baby boomers' ereditò da quella precedente. I jeans sono il primo abito unisex”, prosegue Benvenuto. Tutta la femminilità nata con l'amor cortese nove secoli prima d'un tratto si dissolse e restò solo un essere umano speculare a noi maschi, per fortuna con anatomia femminile. Le donne cambiarono così i loro costumi, ancora prima che si diffondesse la pillola anticoncezionale”.

Per chi non ha vissuto quel periodo storico, molte conquiste possono sembrare naturali, quasi ovvie, ma sono il frutto di un lungo lavoro e l'obiettivo della parità dei diritti non è ancora completato, almeno nel nostro Paese. “Stando al Gender Gap Index del 2016 l'Italia è per eguaglianza di genere al 50° posto tra i 144 Paesi considerati, sotto la Jamaica, la Bulgaria e l'Equador. I Paesi al mondo dove le donne sono più eguali sono quelli scandinavi, la Germania è 13a, la Francia 17a”, conclude Benvenuto. “Tutti gli economisti concordano sul fatto che in un Paese più le donne lavorano, maggiore è la prosperità. Nel 2016 solo il 39% delle italiane lavorava, contro il 50% delle francesi, il 52% delle spagnole, il 55% delle tedesche e delle finlandesi, il 61% delle svedesi”.

Fonte: Sergio Benvenuto, Istituto di scienze e tecnologie della cognizione, Roma , email eu.jou.psy@gmail.com -

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