La bufala volante
Sono 20 anni che ne sentiamo parlare. Che origini ha l'espressione 'scie chimiche'? Perché in così tanti credono a questa teoria del complotto? Abbiamo provato a fare un po' di chiarezza con Vincenzo Levizzani, dell'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Cnr
La tesi delle cosiddette scie chimiche (chemical trails) nasce nel 1997 per opera di Richard Finke, un cittadino americano che, per fare pubblicità alla propria ditta di consulenza contro gli attacchi terroristici, avanza la tesi, priva di fondamento scientifico, che le tracce bianche emesse in volo dagli aerei siano dovute al dibromuro di etilene, una sostanza molto tossica rilasciata allo scopo di commettere un genocidio. Come ricorda Silvia Bencivelli su 'La Stampa', tale ipotesi fu inviata a una mailing-list dedicata al bioterrorismo e la falsa notizia venne poi diffusa da alcuni giornalisti.
“Da quel momento molti iniziarono a dire che le scie lasciate dagli aerei erano composte da elementi chimici, oppure da virus immessi nell'atmosfera per avvelenare il nemico da parte di taluni eserciti, oppure per modificare il meteo a proprio vantaggio”, spiega Vincenzo Levizzani dell'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima (Isac) del Consiglio nazionale delle ricerche. “In realtà le strisce che vediamo lasciate dagli aerei sono effetto di condensazione (condensation trails), si formano a circa 10mila metri di quota e sono costituite da vapore acqueo, particelle e gas di scarico emessi dai motori dei velivoli, che alle basse temperature presenti a quell'altezza (circa -70°) formano scie di cristalli di ghiaccio”.
Da cosa dipende allora la diversa permanenza in cielo e visibilità? Dalle condizioni fisiche dell'aria. “Se l'atmosfera è secca la scia si dissipa più rapidamente, se invece è umida rimane visibile anche per alcune decine di minuti. Anche il vento incide sulla persistenza: maggiore è la sua velocità più rapidamente le scie si dissolvono”, chiarisce Levizzani.
Altrettanto infondata la tesi complottistica secondo cui alcuni paesi, lobby o agenzie segrete siano in grado di modificare il clima a proprio piacimento, per esempio per scatenare un uragano su uno stato confinante e nemico. “L'uomo non è in grado di creare o condizionare uragani, solo la natura può farlo. Dentro queste violentissime tempeste è presente un'energia pari a quella di diverse bombe atomiche, figuriamoci se sia possibile modificarle con la scia di un aeroplano”.
Perché le persone continuano a credere a queste bufale dopo più di 20 anni? “Probabilmente alla base della diffusione di queste teorie del complotto c'è la percezione distorta degli esperimenti, pubblici, di 'inseminazione' dell'atmosfera con elementi chimici (cloud seeding) per la modifica della capacità precipitativa delle nubi. Vengono ad esempio impiegate particelle di ioduro d'argento che, per quantità e modalità di utilizzo, non risultano pericolose per l'uomo. Grazie alla loro struttura cristallina, queste particelle fanno sì che il vapore si depositi e formi cristalli di ghiaccio”, aggiunge Levizzani, “che in seguito crescono per apporto di vapore acqueo e per collisione con goccioline e altri cristalli, diventando sufficientemente grandi da precipitare in forma di neve e poi pioggia. Non c'è nulla di segreto, è un'attività documentata in letteratura con cui paesi come Israele, Stati Uniti, Russia, Cuba e Svizzera hanno tentato di far piovere in zone particolarmente siccitose, con scarsi risultati. Sia chiaro che il 'cloud seeding' viene praticato su nubi già formate, non in un cielo terso, la scienza ancora non permette di formare nubi artificialmente”.
È necessaria dunque una corretta informazione. “Questa e altre teorie pseudoscientifiche ci deresponsabilizzano, esentandoci dallo sforzo di studiare e mettere in dubbio le nostre convinzioni”, conclude Levizzani. “Anche per questo bisogna fare informazione scientifica nelle scuole, sui giornali e su Internet”.
Fonte: Vincenzo Levizzani, Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima, Bologna, tel. 051/6398015 , email v.levizzani@isac.cnr.it -