Vertici che si concludono con semplici dichiarazioni di intenti, protocolli internazionali ratificati ma non rispettati, rinvii di decisioni urgenti... Le perplessità sulla negoziazione internazionale in campo ambientale sono diffuse. Ma sul piano pratico, dal Protocollo di Kyoto (1997) a oggi, vigilia della Conferenza di Copenhagen, quanti degli obiettivi fissati per ridurre le emissioni di gas a effetto serra sono stati raggiunti?
"Innanzitutto, va precisato che il Protocollo di Kyoto è stato fondamentalmente un atto di buona volontà dell'Occidente per dare il buon esempio sulla riduzione delle emissioni", spiega Antonello Pasini, esperto di cambiamenti climatici dell'Istituto sull'inquinamento atmosferico (Iia) del Cnr. "Tra i firmatari occidentali, però, mancarono Stati Uniti, che addirittura dal 1990 hanno aumentato le emissioni del 20%, mentre Russia e Australia hanno aderito solo nel 2005 e nel 2007. La 'filosofia' del Protocollo è la responsabilità comune differenziata, per cui il problema è globale ma chi ha contribuito di più alle emissioni deve ridurre in misura maggiore e per primo".
Peraltro, non tutti i Paesi aderenti hanno rispettato gli impegni presi. "I più virtuosi sono stati la Germania, con una riduzione delle emissioni del 22%, la Gran Bretagna (-17%) e la Francia (-6%). I più inefficienti, la Spagna (+54%), la Finlandia (+11%) e l'Italia (+7%)". Fuori dal protocollo, prosegue Pasini, "sono poi rimasti Cina e India, cioè altri due dei maggiori 'inquinatori', Brasile e Paesi in via di sviluppo, tra cui l'Africa che emette pochissimo ma è anche il continente più vulnerabile".
Recentemente, per fortuna, ci sono stati alcuni progressi. "Ad esempio, sulla riduzione della deforestazione e sui fondi per i Paesi poveri" precisa Pasini. "Restano però irrisolti i nodi cruciali: l'entità dei finanziamenti e, soprattutto, la quantità di riduzione per ogni Paese".