Ieri vanto, oggi vergogna
Nel bicentenario della morte, anche la figura napoleonica è finita nel mirino della “cancel culture”, che sta portando a boicottare la commemorazione di grandi personaggi storici, non più graditi per alcuni aspetti politicamente scorretti. Ne abbiamo parlato con Alberto Guasco, contemporaneista dell'Istituto di storia dell'Europa mediterranea del Cnr
Razzista, sessista, dispotico, militarista, colonizzatore. Sono alcuni degli epiteti riservati recentemente da noti studiosi e opinionisti francesi a Napoleone, in vista del bicentenario della sua morte. Tracciare la figura di ogni grande personaggio storico comporta anche dover descrivere le zone opache e controverse del suo operato, tuttavia questo anniversario si sta trasformando in qualcosa di molto complicato e ambiguo: politici, storici e politologi si stanno esprimendo su Bonaparte con cautela, muovendosi sul sottile crinale tra memoria e commemorazione. Già i contemporanei come il Manzoni si chiedevano se quella del Corso fosse stata vera gloria; oggigiorno ci troviamo di fronte a una diffusa forma di valutazione della storia, che applica criteri di giudizio attuali a fatti e personaggi del lontano passato. Altri intellettuali hanno ricordato, anche se con minore risonanza mediatica, le innovazioni nel campo dei diritti civili portate dal Codice napoleonico: eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, laicità dello Stato, libertà di coscienza, libertà di lavoro, eguaglianza tra i figli legittimi in materia di eredità, introduzione del divorzio, abolizione del feudo e dei fedecommessi.
“Le polemiche che stanno circondando il bicentenario della morte di Napoleone mi paiono segno evidente d'un grande problema generale: l'incapacità di saper pensare in termini storici, arrogandosi il diritto di giudicare il passato in base al metro del presente”, dichiara Alberto Guasco, ricercatore dell'Istituto di storia dell'Europa mediterranea (Isem) del Cnr. “In fondo, si tratta della stessa incapacità che ha dimostrato e dimostra chi, pur a partire da ragioni comprensibili, danneggia monumenti considerati intollerabili manifestazioni di razzismo”.
Le cronache riportano di ripetuti episodi, negli Stati Uniti come in Gran Bretagna, in cui statue e simboli, della storia recente ma anche di quella antica, sono stati sfregiati, abbattuti, rimossi in quanto ritenuti simbolo dell'imperialismo, dello schiavismo e del suprematismo bianco. A farne le spese, tra i tanti, quelli in memoria di Cristoforo Colombo.
“L'aveva già scritto anni fa il poeta Wystan Hugh Auden, è raro trovare un monumento che non sia dedicato a un mascalzone. Ovvero: da sempre ogni potere che si è succeduto sulla terra, muovendosi con le logiche che gli sono proprie, s'è auto-costruito immagini e rappresentazioni”, prosegue il ricercatore del Cnr-Isem. “Se vogliamo vederle così, le fonti storiche – tra cui rientrano le pitture, le sculture, le architetture - sono espressioni del potere che le commissiona. Ma sono anche molto di più: chiavi di volta che vanno al di là di sé stesse, che permettono di comprendere un'epoca, una cultura, le speranze, le contraddizioni, il bene e il male di quello strano animale che risponde al nome di uomo. Se noi distruggiamo queste chiavi - e per Napoleone dovremmo cominciare facendo a pezzi i dipinti di David e finire, se non ci piace la 'pietas' del Manzoni, dando alle fiamme 'Il 5 maggio' - in nome d'un politically correct posticcio, che cosa resta? L'incapacità di comprendere, cioè la negazione del ruolo della storia”.
La battaglia portata avanti dalla cosiddetta “cancel culture” nei confronti di alcuni personaggi storici mette in campo uno scontro ideologico che paradossalmente rischia di compromette un valore fondamentale proprio per comprendere il presente, e cioè la capacità di interpretare correttamente la storia. “È poi altrettanto vero che quando un potere ha sostituito un altro potere a lui avverso ne ha distrutto i simboli. In certi momenti di rottura è inevitabile”, conclude Guasco. “Pensiamo alla 'damnatio memoriae' dei latini, alle abbazie date alle fiamme dopo il 1789 o alle cattedrali fatte abbattere da Stalin. Ad esempio, quella del Cristo Salvatore, fatta edificare dagli zar proprio in memoria della vittoria contro Napoleone del 1812. Non so se, a secoli di distanza, questo tipo di attacchi simbolici o le polemiche ad alto tasso ideologico abbiano davvero un senso. Sarebbe utile una discussione pubblica in grado di far emergere che non c'è stato un solo Napoleone, uguale per tutti e per sempre. È così che si muove la storia”.
Fonte: Alberto Guasco, Istituto di storia dell’Europa mediterranea , email alberto.guasco@cnr.it