Focus: La morte

Le forme della vanitas

morte
di Mirna Moro

Il 'Memento mori', la fragilità della bellezza trovano a livello artistico spazio nella rappresentazione delle nature morte, dove spesso fiori e frutti recisi, candele e clessidre alludono al ciclo della vita. Da Caravaggio a Baschenis, tanti i pittori che soprattutto dopo la Controriforma si sono dedicati a questo soggetto

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Teschi, clessidre, frutti bacati, carte stropicciate e candele consumate, sono alcuni degli elementi allegorici che nelle nature morte esprimono la fugacità della vita e la caducità della bellezza. In particolare il 'Memento mori’ diventa popolare nella pittura della Controriforma con l’esempio tipico di un teschio posto accanto a fiori o frutta. Il tema si diffuse in Europa soprattutto dopo il dilagare della peste e i conflitti della Guerra dei trent’anni (1618-1648), che dilaniarono l’Europa.

“Il genere della natura morta come composizione di elementi naturali inanimati percorre tutta la storia dell’arte: da elemento decorativo acquista, soprattutto nel Seicento, il ruolo di genere autonomo” spiega Sandra Fiore, storica dell’arte e giornalista dell’Ufficio stampa del Cnr. “Lo stesso Caravaggio, anticipatore di questo genere, precisava che 'tanta manifattura gli era fare un quadro buono di fiori come di figure’. Come si può del resto osservare a proposito della 'Canestra di frutta’, opera conservata presso la Pinacoteca Ambrosiana, commissionata nel 1599 dal cardinal del Monte. Nel magnifico cesto, la mela intaccata dal verme e la foglia di vite arricciata perché appassita hanno lo stesso peso dei frutti migliori e succulenti raffigurati con grande naturalismo".

Sul concetto di caducità si sofferma anche Evaristo Baschenis, pittore bergamasco (1617-1677), famoso per le composizioni con strumenti musicali prive di figure umane. Interessanti opere del quale si ammirano nella Pinacoteca di Brera, "In queste scene dall’atmosfera misteriosa, gli strumenti appaiono a riposo, polverosi, ammonticchiati su tavoli, a simboleggiare il trascorrere inesorabile del tempo”, continua Fiore. “Dell'amburghese Christian Berentz (1658-1722) si conservano, nella Galleria nazionale d’arte antica di palazzo Corsini, una serie di nature morte, tra le quali 'La mosca’ evoca il tema della fragilità della bellezza: nel dipinto un’imprevedibile mosca si appoggia su un invitante vassoio di savoiardi, circondato da eleganti bicchieri di vetro soffiato, bottiglie colme di vini liquorosi, imbanditi per un convito”.

Al di là dell’allusione alla labilità delle vanità umane, le nature morte sono un interessante spunto documentario per conoscere la storia gastronomica di un paese, per osservare tipicità vegetali e cibi scomparsi dalle nostre tavole. “Interessanti testimonianze in tal senso ci arrivano già dall’antica Ercolano: sei dipinti parietali del 45–79 a.C., oggi custoditi nel Museo archeologico di Napoli, paragonabili a un menù 'affrescato’ con datteri, pesche, prugne fichi secchi, astici, seppie, un coniglio, ritratti da un abilissimo pittore, capace di far immaginare il sapore di questi alimenti”. conclude Fiore. “Bellissimo anche l’artificio nella resa di una brocca di vetro con le trasparenze dell’acqua, un motivo molto frequente nelle nature morte dei secoli successivi”.

Le testimonianze antiche di Pompei ed Ercolano ci lasciano immaginare che i pittori che nei secoli successivi si dedicarono a una resa naturalistica della realtà abbiano preso spunto proprio dal ricco repertorio classico. Nel Rinascimento, a raggiungere il primato in questo tipo di rappresentazione furono i pittori fiamminghi capaci di una resa minuziosa, lenticolare del dettaglio.

Mirna Moro

Fonte: Sandra Fiore, Ufficio Stampa del Cnr, Roma, tel. 06/49933789 , email sandra.fiore@cnr.it -

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