Focus: Spazio

Emergenza rifiuti anche nello spazio

detriti
di Federica Pennone

Dopo il recente rientro nell'atmosfera del satellite Uars della Nasa, si è riaperto il dibattito sulla cosiddetta 'spazzatura spaziale'. Tra gli interventi per ridurre i rischi, il monitoraggio delle caratteristiche fisiche e della traiettoria degli oggetti in orbita

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Il problema dei detriti che circolano in orbita terrestre non può essere ignorato, anche perché tali oggetti viaggiano a velocità varie, nel caso di urti frontali possono raggiungere anche i 15 km/s. Questi 'rifiuti spaziali': il sistema di sorveglianza spaziale americano ha catalogato i satelliti fuori servizio, materiale espulso dai motori dei razzi, oggetti comuni come un guanto, una macchina fotografica, una borsa per gli attrezzi, oltre a numerosi sacchetti della spazzatura e persino uno spazzolino da denti.

Il più vecchio dei detriti spaziali prodotti dall'uomo e ancora nello spazio è il satellite Vanguard I, mandato in orbita dagli Stati Uniti nel 1958: lo hanno seguito molti altri, che, una volta divenuti inattivi, non sono stati recuperati e stanno ancora navigando attorno al nostro pianeta. Nel loro vagabondare, questi oggetti possono tra loro entrare in collisione, generando frammenti e quindi altri detriti. Quelli in orbita bassa perdono progressivamente energia, a causa della presenza di una tenue atmosfera residua anche a diverse centinaia di chilometri di altezza, e quindi, dopo un certo tempo, rientrano sulla Terra. Ma molti rimarranno nello spazio per un tempo quasi infinito.

"I rientri accidentali possono essere rischiosi solo se si tratta di oggetti di grandi dimensioni, poiché il destino di quelli piccoli è di bruciare nell'alta atmosfera prima di raggiungerci", spiega Luciano Anselmo, dell'Istituto di scienza e tecnologie dell'informazione del Cnr. "Non a caso, nonostante l'elevato numero di rientri non controllati, finora non è stato confermato nessun caso di danni alle persone e quelli alla proprietà sono stati trascurabili".

La minaccia è maggiore per chi lavora nello spazio, dunque per veicoli spaziali e astronauti. "Se il detrito è grande si può facilmente monitorare dalla Terra, ma se le dimensioni sono comprese tra uno a dieci centimetri può provocare conseguenze serie, sia per l'entità dei danni, talvolta milionari, sia per l'incolumità degli astronauti, poichè anche oggetti relativamente piccoli possono perforare i moduli in cui alloggiano le loro tute", prosegue il ricercatore dell'Isti-Cnr, "vista l'elevata velocità a cui viaggiano".

In passato, l'attenzione si è concentrata anche sul materiale radioattivo. "Fortunatamente, dal 1957 a oggi", precisa Anselmo, "si è verificata una sola contaminazione grave, in occasione del rientro accidentale sulla Terra del Cosmos 954, un satellite militare sovietico per la sorveglianza oceanica, che precipitò per un malfunzionamento contaminando un'area del Canada nord-occidentale, per fortuna disabitata".

Da anni si studia per risolvere la questione, cercando di determinare caratteristiche fisiche e traiettoria degli oggetti nello spazio, così da poter adottare misure di prevenzione in occasione dei rientri previsti. Esattamente come è accaduto di recente, quando il veicolo spaziale della Nasa Uars è rientrato nella nostra atmosfera: gli esperti delle varie Agenzie spaziali, nonostante i parametri di incertezza e di errore, sono riusciti a calcolare l'orario di caduta dei frammenti.

Federica Pennone

Fonte: Luciano Anselmo, Istituto di scienza e tecnologie dell'informazione "Alessandro Faedo", Pisa, tel. 050/3152952 , email luciano.anselmo@isti.cnr.it -

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