Non ho l'età per quel farmaco
Talvolta si è portati a considerare l'anziano come un bambino o il bambino come un adulto in miniatura, ma così non è. Le patologie che colpiscono le due fasce d'età, e soprattutto le cure, sono differenti. Ne abbiamo parlato con Enrico Parano, neurologo, pediatra e responsabile dell'Istituto per la ricerca e l'innovazione biomedica del Cnr di Catania
Bambini e anziani rappresentano due fasce d'età particolari all'interno della società, oltre che due momenti opposti e carichi di significato della vita dell'individuo. Se da un lato, cronologicamente, si trovano agli antipodi, dall'altro si è portati a pensare che i due momenti siano sovrapponibili o in qualche modo simili a causa dei cambiamenti comportamentali e relazionali da parte dell'anziano, a cui si aggiungono fattori quali la perdita di autonomia, il bisogno di attenzione e di cure come nell'età infantile. Dal punto di vista clinico, però, la situazione tra le due fasi dell'esistenza è differente.
“Le patologie che colpiscono la fascia pediatrica sono diverse per caratteristiche, evoluzione e modalità di intervento rispetto a quelle dell'adulto e comprendono, oltre ai comuni esantemi dell'infanzia, tutte le patologie relative ai primi anni di vita del bambino, come quelle infettive delle vie respiratorie: dalle tonsilliti alle bronchiti su base allergica”, spiega Enrico Parano dell'Istituto per la ricerca e l'innovazione biomedica (Irib) del Cnr. “Capitolo a parte meritano poi i disturbi neurologici e neuropsichici dell'età evolutiva, che rappresentano la principale causa di disabilita, coinvolgendo numerosi soggetti della popolazione compresa tra 0 e 17 anni. È il caso dei disturbi conseguenti a malattie acquisite o genetiche del sistema nervoso (disturbi neurosensoriali, epilessia, sindromi genetiche, ecc.) con sequele spesso gravemente invalidanti; oppure dei disturbi dello sviluppo psicomotorio (disturbi dello spettro autistico, disturbi specifici del linguaggio e dell'apprendimento, ecc.); o ancora dei disturbi psichiatrici dell'infanzia e dell'adolescenza (disturbi del comportamento, delle abitudini alimentari, dsturbo da deficit di attenzione con iperattività). Infine, i bambini, al pari degli adulti, possono essere colpiti da patologie tumorali, quali le leucemie, i tumori del rene e i tumori del sistema del nervoso”.
Nell'età adulta, la possibilità di incorrere in determinate malattie aumenta. “Ciò accade perché l'organismo, invecchiando, tende a perdere la 'capacità omeostatica', vale a dire la sua capacità di mantenere un equilibrio interno che consenta di ritornare sempre allo stato di salute preesistente, resistendo ai cambiamenti e alle situazioni avverse”, continua il ricercatore. “Le patologie dell'adulto e dell'anziano, a differenza di quelle del bambino, sono legate correlate principalmente a fattori ambientali e stili di vita, e includono le patologie cardiovascolari, l'ipertensione, il diabete, le malattie broncopolmonari croniche e ostruttive, i tumori maligni, le patologie reumatiche, gli accidenti cerebrovascolari come ictus ed emorragie cerebrali. A ciò si aggiungono tutte le malattie più propriamente legate all'invecchiamento: quelle dell'apparato gastro-intestinale e genito-urinario ad esempio, i disturbi dell'udito e della vista, le patologie ortopediche, le demenze senili, senza dimenticare le sindromi depressive degli anziani, spesso sottovalutate. Anche gli esami strumentali utilizzati per la conferma diagnostica sono spesso differenti nelle due fasce di età: sicuramente meno invasivi per i bambini nei quali, ad esempio, alle indagini radiografiche si preferiscono quelle ecografiche”.
Sia per le patologie del bambino, sia per quelle dell'adulto la prevenzione ha un ruolo fondamentale. “Previene la comparsa, la diffusione e la progressione delle malattie e il determinarsi di danni irreversibili quando la patologia è già in atto, e in questo un ruolo importante è svolto dalle vaccinazioni”, dichiara Parano. “La prevenzione primaria e l'educazione sanitaria mirano a informare e sensibilizzare su fattori predisponenti e sulle cause delle principali patologie multifattoriali; la prevenzione secondaria ha invece l'obbiettivo di evidenziare tempestivamente stati patologici non ancora sintomatici tramite esami preventivi e cure tempestive, quali gli screening neonatali o quelli per la diagnosi precoce dei tumori della mammella (mammografia) e della cervice uterina (pap-test) o per il tumore del colon tramite la ricerca del sangue occulto nelle feci. In molti casi, la diagnosi precoce è cruciale perché rende attuabili interventi terapeutici in grado di condurre alla guarigione. La prevenzione terziaria, infine, lì dove la malattia si è già manifestata, mira a ridurne le complicanze e le conseguenze negative, per prevenire le recidive e impedire il passaggio all'invalidità, legata al controllo delle terapie e alla loro corretta assunzione, nonché alla gestione dei deficit e delle disabilità funzionali consequenziali a uno stato patologico o disfunzionale”.
A proposito di queste terapie, oggi si sente parlare sempre più spesso di medicina personalizzata. “Le recenti acquisizioni scientifiche nel settore della genetica, della genomica e dell'epigenetica hanno dato un grande impulso alla medicina personalizzata in campo oncologico, ma non solo: basti pensare ad esempio alla differenza di riposta individuale agli antibiotici comunemente usati nei bambini e negli adulti o allo studio dell'interazione e dell'influenza che il cibo ha sui nostri geni (nutrigenetica e nutrigenomica), con tutto ciò che ne consegue in termini di alimentazione e di diete personalizzate”, aggiunge il ricercatore. “La medicina personalizzata, detta anche medicina di precisione, include misure non solo di tipo terapeutico farmacologico (farmacogenomica) adattate in modo specifico a un individuo, ma anche di tipo predittivo: grazie alla medicina personalizzata è infatti possibile individuare la predisposizione genetica di una persona a specifiche patologie (studio del profilo genetico per la ricerca di eventuali mutazioni del Dna) e intervenire di conseguenza in modo mirato, per ridurre la possibilità che un individuo si ammali della patologia alla quale è geneticamente suscettibile. Si ritiene che la medicina personalizzata rappresenti un'opportunità per la sanità del futuro, anche se la 'rivoluzione' dei farmaci cosiddetti intelligenti e delle cure personalizzate passerà inevitabilmente per aspetti che non sono in alcun modo secondari, come l'archiviazione di dati sensibili, genetici e personali”.
E la differenza tra le due fasce di età è emersa anche durante la pandemia da Coronavirus. “Tra le poche certezze che ci accompagnano dagli inizi della pandemia, c'è quella sulla più efficace risposta al Covid-19 del sistema immunitario dei bambini. Rispetto agli adulti, i piccoli tendono infatti a contrarre la malattia in forma più leggera, sono spesso asintomatici e fino a una certa età sembrano anche meno suscettibili al contagio. I motivi non sono ancora del tutto chiari, ma capire quali meccanismi rendano la risposta dei bambini al Sars-CoV-2 più efficace è di fondamentale importanza per le future prospettive di cura e prevenzione. Un recente studio italiano sulla fascia pediatrica ha confermato che la minore suscettibilità dei piccoli all'infezione è verosimilmente legata al profilo immunologico caratterizzato da una maggiore quantità di linfociti T e B, correlata all'esposizione dei bambini ad altri virus stagionali”, conclude Parano. “Nello studio dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù, i bambini con la maggiore capacità di sconfiggere rapidamente il Sars-CoV-2, infatti, erano quelli già entrati in contatto, nella loro storia clinica, con un numero elevato di altri virus influenzali”.
Fonte: Enrico Parano, Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica , email enrico.parano@cnr.it -