Editoriale

Ricerca: dalla pubblicazione alla tecnologia

Nelle ultime settimane si è discusso molto sull'adeguatezza dell'attuale criterio di valutazione del merito scientifico. In apparenza, un dibattito di interesse esclusivo per la comunità dei ricercatori, ma non è così: due interventi, non a caso, sono usciti su un quotidiano ad amplissima tiratura come il Corriere della sera.
di Marco Ferrazzoli

La valutazione dell'attività scientifica influisce anche sui finanziamenti. Per questo è necessario porre attenzione al ruolo determinante dell'innovazione nella sfida globale. Su questo piano, al nostro Paese serve uno sforzo particolare al quale nessuno può sottrarsi: Stato e amministrazioni pubbliche, imprese e ricercatori devono fare di più e meglio

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Giuseppe Galasso ha affrontato in modo critico sia l'Impact factor, cioè il ranking dell'Institute for scientific information (Isi) basato sul numero di citazioni ricevute da un articolo scientifico, sia il peer review, la valutazione del lavoro dei ricercatori da parte di esperti dello stesso settore. Su questo secondo aspetto, un articolo di Giuseppe Remuzzi ha posto il dubbio che il rigore delle riviste nell'accettare i contributi, con percentuali di pubblicazione anche inferiori al 10% e frequenti richi

Nelle ultime settimane si è discusso molto sull'adeguatezza dell'attuale criterio di valutazione del merito scientifico. In apparenza, un dibattito di interesse esclusivo per la comunità dei ricercatori, ma non è così: due interventi, non a caso, sono usciti su un quotidiano ad amplissima tiratura come il Corriere della sera.

Giuseppe Galasso ha affrontato in modo critico sia l'Impact factor, cioè il ranking dell'Institute for scientific information (Isi) basato sul numero di citazioni ricevute da un articolo scientifico, sia il peer review, la valutazione del lavoro dei ricercatori da parte di esperti dello stesso settore. Su questo secondo aspetto, un articolo di Giuseppe Remuzzi ha posto il dubbio che il rigore delle riviste nell'accettare i contributi, con percentuali di pubblicazione anche inferiori al 10% e frequenti richieste di integrazioni e avanzamenti, sia troppo macchinoso e mal si concili con l'attività concreta, soprattutto dei ricercatori più giovani. Va ricordato che Remuzzi è uno dei dieci scienziati italiani i cui articoli sono più citati al mondo, dunque non lo si può certo sospettare di criticare per interesse personale...

Su Scienza in rete è stata poi sollevata la richiesta di un adeguato sistema di misurazione in ambito umanistico. Mentre Le Scienze ha riferito di un'indagine sul peer review in alcuni enti di ricerca e agenzie di finanziamento condotta dalla European science foundation, che ha stilato una guida per la corretta applicazione. Infine, la questione è stata affrontata su Sapere da Roberto Cristiano, in particolare per l'adeguatezza di questi criteri rispetto alla "nuova scienza che sia utile anche alla società".

Perché il tema dovrebbe interessare il grande pubblico? Proprio perché dalla valutazione dell'attività scientifica derivano non solo prestigio e carriera del ricercatore e del suo gruppo ma, in qualche misura, il sostegno che viene concesso alla ricerca in termini di finanziamenti. A decidere dove investire in ambito scientifico non possono essere genericamente la società civile o i decisori politici, sia per salvaguardare l'autonomia della ricerca sia per la complessità delle tematiche. Ma proprio perché servono dei parametri è indispensabile che la comunità dei ricercatori, quando si "valuta", ponga attenzione ad aspetti che i tradizionali criteri potrebbero non misurare adeguatamente.

In particolare, si avverte l'esigenza di tenere in considerazione il ruolo sempre più determinante di innovazione e tecnologia nella sfida globale. Su questo piano, al nostro Paese serve uno sforzo particolare. Davanti al 'World competitiveness yearbook' 2011, che ci colloca al 42° posto, arretrandoci di due posizioni e alle spalle di Filippine e Portogallo, un esperto come Stéphane Garelli, intervistato da Affari e Finanza di Repubblica, avverte: le grandi aziende "sembrano ignorare la necessità di investimenti in infrastrutture tecnologiche. E lasciano il compito alle modeste capacità di piccole e medie imprese". Diagnosi confermata dalla classifica delle multinazionali mondiali stilata da R&S Mediobanca: la prima italiana, Eni, è al 13° posto. "Colpa di un modello troppo orientato alla compressione del costo del lavoro piuttosto che all'aumento del contenuto tecnologico", commenta il Sole 24 Ore.

Certo, l'insufficienza dei finanziamenti pubblici alla ricerca e le responsabilità dello Stato per talune carenze, ad esempio in termini di rapporto tra ricercatori e lavoratori, non vanno nascoste. Ma il problema essenziale è sul piano degli investimenti privati, com'è stato ribadito nei giorni scorsi dal ministro della Sanità, Ferruccio Fazio, e dal presidente del Consiglio nazionale delle ricerche, Luciano Maiani, incontratisi per siglare un accordo quadro sull'innovazione del Sistema sanitario nazionale.

Il nostro Paese rischia di restare al 'Miracolo scippato', come recita il titolo di un libro di Marco Pivato in cui si raccolgono storie di imprenditoria nazionale ad alto contenuto tecnologico che non hanno trovato in Italia il terreno giusto per crescere. Per uscire da questa situazione serve uno sforzo congiunto al quale nessuno può sottrarsi: Stato e amministrazioni pubbliche devono fare di più e meglio, le imprese devono cambiare mentalità e sacrificarsi maggiormente, la ricerca deve avvicinarsi a un mondo nel quale l'innovazione tecnologica è il fattore di crescita fondamentale.