Focus: Immateriale

Bitcoin, non monete

Bitcoin
di Giampaolo Vitali

Nel contesto dei mercati e degli strumenti finanziari, troviamo azioni, obbligazioni, valute, opzioni, futures e  le cosiddette criptovalute. Ce ne parla in dettaglio l'economista Giampaolo Vitali dell’Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile (Ircres) del Cnr

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Il bitcoin nasce nel 2009 come valuta virtuale, cioè come moneta non fisica utilizzata per gli scambi all’interno della rete internet. Emerge subito che per le sue caratteristiche intrinseche, quali l’alta volatilità e l’assenza di un gestore istituzionale, quali sono le banche centrali nel caso delle monete fisiche, il bitcoin non può svolgere il ruolo di vera e propria “moneta”. Del resto, le criptovalute non hanno un valore d’uso, come le monete d’oro di una volta, e non c’è l’obbligo di accettarle in pagamento, come le monete in corso legale. Questa ambiguità di fondo ha aperto un ampio dibattito tra gli economisti. Qualcuno sostiene che si tratta di una semplice “commodity”, altri ne vedono un bene rifugio, alla stregua dell’oro, altri ancora un “asset” patrimoniale, ad alto rischio di investimento. I più critici lo relegano a un semplice programma finanziario alla stregua del noto schema Ponzi, la truffa dei primi del ‘900 da cui hanno tratto spunto il “marketing multilivello”, la bancarotta da 60 miliardi di $ di Bernard Madoff del 2008 e il recente fallimento da 30 miliardi di dollari di Ftx, la quarta società più grande al mondo di scambio di critpovalute gestita dal giovane Sam Bankman Fried.

Lo schema è sempre il solito: attirare i risparmiatori prospettando alti profitti, dimostrati tramite i guadagni ottenuti da primi investitori, in modo che i continui ingressi di capitale compensino le perdite causate dai rischiosissimi investimenti necessari per sostenere i profitti attesi. Il sistema funziona fino a che non esplode, come nel caso di Ftx, generalmente per trasparenza delle informazioni (Bankman Fried non è riuscito a nascondere le società di comodo alla Bahamas), crisi di liquidità (una stretta monetaria favorisce vendite di criptovalute per riottenere le “monete vere”), investimenti personali sbagliati (Bankman Fried usò i fondi dei risparmiatori per compensare le perdite della sua Alameda Research). Gli italiani coinvolti nel crack della società Ftx sono solo poche migliaia, stando alle indicazioni del gruppo che si è formato su Telegram per organizzare un’azione collettiva, soprattutto giovani che hanno perso poche migliaia di euro ciascuno. Tuttavia, ciò dimostra come la cultura finanziaria sia ancora scarsa nei risparmiatori, se non si capisce che, a fronte di alti profitti attesi, il mercato offre anche alti rischi di perdita. Solo i ricchi possono permettersi questi investimenti, sempreché siano frutto di una diversificazione (“put all eggs in one's basket”).

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A questo proposito, un dato interessante è emerso nell’indagine condotta dal Centro Einaudi di Torino, con il supporto di Intesa Sanpaolo, che ha chiesto a 1.000 risparmiatori la loro propensione verso gli investimenti “alternativi”, come per esempio l’oro, le opere d’arte e le criptovalute. Mentre il 61% dei risparmiatori segue queste forme di investimento poco liquide o molto rischiose, un quarto dei rispondenti è favorevole a investire in oro, il bene rifugio per eccellenza, e quasi un decimo anche in criptovalute. Approfondendo questo segmento, emergono la prevalenza degli uomini rispetto alle donne, sempre più caute negli investimenti finanziari, e dei giovani rispetto agli anziani. È probabile che i primi gestiscano i pochi risparmi in modo più disinvolto, tentando la fortuna, imitando i modelli di successo presenti sui social, mentre i secondi fanno tesoro delle esperienze tramandate da Ponzi in poi.

In sostanza, la grande differenza tra il mondo delle criptovalute e la vera finanza è la regolamentazione e la trasparenza del mercato, assente nel primo ambito. Per tale motivo, il futuro delle monete virtuali sarà quello di esistere all’interno di un mercato regolamentato, con gli investitori istituzionali preposti alla gestione e allo scambio delle criptovalute. Solo in questo caso esse potranno fornire un servizio positivo alla collettività, in quanto sono oggettivamente più efficienti delle monete fisiche e anche più efficaci nel garantire meccanismi di pagamento sicuri, grazie alla tracciabilità fornita dall’uso della blockchain, questa nuova tecnologia di cui incominciamo ad apprezzarne le applicazioni anche nella vita reale dei prodotti manufatti.

Fonte: Giampaolo Vitali, Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile, giampaolo.vitali@ircres.cnr.it