La peggiore siccità da 500 anni
Ramona Magno, direttrice dell’Osservatorio siccità dell’Istituto per la bioeconomia del Cnr, spiega le ragioni che hanno portato temperature elevate e scarsità di precipitazioni a essere gli indiscussi protagonisti meteo dell’estate 2022. E illustra il loro impatto sulla nostra quotidianità
L’estate del 2022 sta volgendo al termine ma rimarrà a lungo nella memoria collettiva; anche per la crisi climatica. In tutto il continente si è manifestato un caldo intenso, accompagnato da scarsità di pioggia e da altri eventi atmosferici estremi, come venti molto forti e grandinate. “Un anno di caldo record non solo in Italia ma anche in buona parte d’Europa che, secondo il report di agosto dell’European Union’s Joint Research Center (Jrc), potrebbe star vivendo la peggiore siccità degli ultimi 500 anni”, commenta Ramona Magno, direttrice dell’Osservatorio siccità dell’Istituto per la bioeconomia (Ibe) del Cnr. “Eloquenti le immagini satellitari dei verdi prati inglesi trasformati in distese di erba secca e terreno compatto. O i grandi fiumi come il Po, la Senna, il Tamigi, il Reno e il Danubio, i cui livelli sono inesorabilmente calati, facendo riemergere persino reperti storici. Secondo quanto emerso dalle nostre analisi dei principali indici, in Italia, da inizio secolo, ogni 3-4 anni assistiamo a eventi siccitosi intensi e prolungati, come quello del 2016-2017, ma quello che stiamo tutt’ora vivendo non ha precedenti sotto molti aspetti”.
In Italia ogni estate alcune zone del Paese si ritrovano a fare i conti con la scarsità d’acqua, ma il 2022 è stato comunque anomalo. “Le regioni con le criticità maggiori sono quelle settentrionali e alcune aree centrali; per risalire all’origine di questo fenomeno si deve tornare indietro di un anno. L’estate 2021 è stata caratterizzata da forti ondate di calore con valori che hanno superato i 40 gradi in diverse località. Nel successivo periodo autunnale, nonostante un novembre piovoso su buona parte dello Stivale, il deficit di pioggia ha cominciato a fare capolino soprattutto nel nordovest. L’inverno ha poi innescato il campanello d’allarme”, continua la ricercatrice.
“Alcuni fattori si sono sommati: la riduzione delle piogge (fino a 2/3 in meno nel nordovest), temperature sopra la media, con un periodo natalizio e un febbraio particolarmente miti, le scarse precipitazioni nevose (oltre il 50% di neve in meno caduta rispetto alla stagione precedente) e frequenti fenomeni di föhn sulle regioni nord-occidentali, che hanno favorito l’evaporazione e il disseccamento del terreno. Tutto a causa di un’anomala persistenza dell’anticiclone, che ha stazionato sull’Europa mediterranea centro-occidentale impedendo l’ingesso di perturbazioni significative". La primavera nopn ha risolto la situazione. "Le agognate piogge in grado di risanare, almeno in parte, il deficit accumulato non sono state sufficienti, anzi l’anomalia meteo-climatica è proseguita e da maggio a luglio abbiamo avuto una rincorsa continua al record" prosegue Magno. Sta di fatto che, secondo le analisi dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Isac) del Cnr, dopo sette mesi questo 2022 risulta essere l’anno più caldo e secco dal 1800, con temperature degli ultimi 3 mesi seconde solo, rispettivamente, al 2003, per maggio e giugno, e al 2015 per luglio.
Ovviamente il caldo intenso e la scarsità di pioggia hanno conseguenze che impattano negativamente sull’ambiente e sull’economia del continente e sulla vita quotidiana dei suoi abitanti. Cosa contraddistingue questa siccità dalle altre? "Sicuramente la portata dell’impatto sulla risorsa idrica. Non ci si rende conto di quanto l’acqua sia fondamentale finché non viene a mancare. Lo sanno bene gli agricoltori, che basano tutta la loro attività sull’acqua, la sua disponibilità, ma anche la sua qualità”, la ricercatrice. “Non si possono irrigare i campi con acqua contaminata o salata né possono sopravvivere a tali condizioni gli ecosistemi ripariali o lacustri: l’ingresso senza precedenti del mare nel delta del Po fino a 40 km a fine luglio ne è un esempio".
Anche il settore energetico sta facendo i conti con la scarsità idrica di questo 2022. Le centrali idroelettriche e termoelettriche, che hanno bisogno di acqua per poter funzionare, lavorano a singhiozzo o sono state costrette a chiusure temporanee per dare precedenza al comparto agricolo e rispettare la normale funzionalità degli habitat e, in un periodo in cui la questione energetica è al centro del dibattito europeo anche per altri motivi, l’impatto della siccità è ulteriormente amplificato. C’è poi il settore idropotabile. In molti comuni ci sono state indicazioni circa il risparmio idrico in attività non essenziali e si è palesato in più occasioni il rischio di razionamento di acqua in alcune zone del nord, con il ricorso alle autobotti, lì dove la risorsa superficiale era assente e quella sotterranea cominciava ad essere intaccata.
Neppure le foreste vengono risparmiate. “Sono triplicati gli incendi, alcuni dei quali occorsi già in inverno per via di maggiore disponibilità di materiale vegetale secco, terreni asciutti e venti che hanno favorito la loro estensione. Inoltre, anche gli alberi, pur avendo un apparato radicale profondo, in condizioni di prolungata assenza di acqua e temperature molto elevate possono andare in crisi e favorire così una maggiore diffusione di malattie e attacchi parassitari”, precisa la direttrice dell’Osservatorio. “Infine, a valle di una crisi idrica prolungata si può affacciare anche un altro problema che, se vogliamo, riassume gli altri e può essere declinato con un aforisma attribuito a Mark Twain: ‘Whiskey is for drinking, Water is for fighting’. Quando la risorsa scarseggia, infatti, si possono innescare conflitti fra i vari utenti. E non si può più pensare che questo problema sia appannaggio solo di zone del globo più svantaggiate. Anche l’area mediterranea è ormai interessata, soprattutto visti i trend climatici e le stime di un aumento di eventi estremi di questa portata, nonché le previsioni di una diminuzione della disponibilità della risorsa idrica nei prossimi decenni”.
Dunque la siccità non può essere definita solo come la semplice mancanza d’acqua, conseguenza di un’estate più calda della norma e risolvibile con l’arrivo delle piogge autunnali ma come un problema collettivo di cui prendere coscienza e da affrontare nel quotidiano. “Quello che fa aumentare il rischio di crisi idrica è l’aumento dell’esposizione e della vulnerabilità del territorio, della popolazione e delle attività antropiche al fenomeno siccità. Di fatto le siccità, così come le ondate di calore, stanno aumentando in numero e intensità e non possono essere evitate; quel che si può fare, invece, è cercare di mitigarne gli impatti. La siccità, rispetto ad altri fenomeni estremi, è di più difficile identificazione, soprattutto nelle sue prime fasi, e non sempre una o più piogge sono in grado di interromperla, anzi, possono risultare ancora più dannose se avvengono in maniera concentrata ed impetuosa, come nel caso dei temporali che si sono abbattuti sulle Alpi o in alcune zone del centro-nord a luglio e agosto, alimentati dall’elevata energia accumulata sia sulla terraferma che sul mare”, conclude l’esperta. “Si può creare un gap temporale fra l’insorgere della siccità e la gestione degli impatti. Ridurre questo gap è prioritario e per far questo è necessario innanzitutto un cambio di paradigma, passando da una ‘gestione della crisi’ ad una ‘gestione del rischio’ attraverso soluzioni di lungo respiro atte al risparmio e alla conservazione dell’acqua in tutti i settori e nel quotidiano. Abbiamo la conoscenza, le tecnologie e anche gli strumenti legislativi per poter identificare, monitorare, prevedere e affrontare un problema che diventa ogni giorno più pressante. Ma forse manca una visione integrata e la volontà di agire non pensando di poter raggiungere sempre lo scopo nell’immediato o che i frutti di lungo periodo siano più costosi. In realtà, i costi delle soluzioni reattive sono maggiori rispetto alle soluzioni proattive. Bisogna agire ‘quando piove’, senza aspettare una siccità”.
Fonte: Ramona Magno, Istituto per la bioeconomia, e-mail: ramona.magno@ibe.cnr.it